Omelia (28-03-2013)
padre Gian Franco Scarpitta
La Cena della rivelazione suprema

Per noi cristiani Dio si è rivelato come Amore. La massima espressione di questo Amore è la croce, elemento di supplizio sopra il quale, nel Cristo, Dio offre se stesso in riscatto dell'uomo. Accettando di morire in croce per noi, Dio rende l'idea evidente di come lui voglia rivelarsi all'uomo, ma anche il presente episodio della consumazione della Cena a Gerusalemme è altrettanto allusivo in tal senso, perché di questo Amore di auto donazione ci offre un anticipo, una caparra.
Cosa succede infatti durante quella Cena, che Giovanni, a differenza dei Sinottici, colloca all'antivigilia della Pasqua Ebraica?
Dio si mostra innamorato perduto per l'umanità, non importa come essa reagisca e come possa corrispondervi e a descrivercelo non sono artificiosi discorsi o sottili ragionamenti di erudizione e di sapienza, quanto piuttosto i gesti concreti di umiltà. Come quello della lavanda dei piedi. Il recente saggio di Pettfils sulla vita di Gesù, scrive che secondo la tradizione e gli usi ebraici erano indispensabili, prima dei pasti, le sole abluzioni delle mani con acqua profumata. Il fatto che Gesù, iniziata la cena, si cinga con una veste di telo sui fianchi e si chini a lavare i piedi a ciascuno dei suoi discepoli, è una novità assoluta e sorprendente, che conferma l'amore di Dio nella concretezza del servizio umile e disinteressato. Che qualcuno lavi i piedi ad un altro non lo si vede ai nostri giorni come atteggiamento ordinario, fatta eccezione per la cura dei disabili e degli anziani. Nessuno ama un vicino di casa, un amico, un fratello al punto da chinarsi a lavargli i piedi, quando questi potrebbe farlo da solo, e questo sottende che lavare i piedi agli altri è indubbiamente un atto d'amore. E se si volesse obiettare che potrebbero farlo solo i pazzi, appunto questo è l'amore vero: la pazzia. La pazzia di cui solo Gesù è capace, anticipata con questo servilissimo gesto e resa manifesta nella croce.
Nella lavanda dei piedi, Gesù si fa allo stesso tempo apportatore della medesima eredità: "Come ho fatto io, così fate anche voi". L'amore fra i discepoli, e per estensione fra tutti i cristiani di tutti i tempi deve avere la stessa concretezza di umiltà e di disponibilità dimostrata dal Signore nella lavanda dei piedi, divenendo prerogativa irrinunciabile per tutti. Nel servire gli altri si scopre effettivamente la nostra vera vocazione, il fondamento della nostra esistenza; ci si realizza nel migliore dei modi, conseguendo quanto di fatto ci precludono superbia, l'arroganza e la corsa al potere e al successo a tutti i costi.
La presunzione e il falso orgoglio, che sono il contrario procacciato dell'umiltà, ci predispongono alle inimicizie e procurano solo insoddisfazioni e sconvolgimenti personali, al di là delle effimere rassicurazioni materiali. L'amore raggiunge invece ogni traguardo, ma esso non si configura come tale se non nell'umiltà e nel dono di sé: ecco la lavanda dei piedi.
Sempre di amore estremo si tratta quando Gesù proferisce quelle famosissime parole sul pane e sul vino, dopo aver recitato la preghiera di ringraziamento (beraka) tipica dell'ambiente ebraico: "Questo è il mio Corpo" che nel linguaggio semitico significa: "Questo sono io". Invita a mangiare di se stesso, ad assumere la sua carne e il suo sangue per ottenere la vita piena, lui che sta dando la propria vita. Già in altri luoghi Gesù aveva detto espressamente che sarebbe stato necessario nutrirsi della sua carne e del suo sangue per avere la vita, che sarebbe stato indispensabile nutrirsi del pane vivo disceso dal cielo che è lui stesso (Giovanni 6) e che tale nutrimento sarebbe stato per tutti fautore di salvezza e di vita eterna. Adesso tutti questi moniti si concretizzano in poche parole che identificano il pane con lo stesso Corpo del Signore: Questo "è davvero" (e non "significa" o "rappresenta") il mio Corpo che è dato per voi. Ciò che fra poco sarà dato in sacrificio sulla croce per voi.
E perché il sangue? Nell'antico Israele era sempre stato il sangue delle vittime animali ad assumere carattere espiativo dei peccati del popolo, soprattutto nel Grande giorno dell'espiazione dei peccati chiamato Yom kippur. Ora invece il vero agnello, vittima di espiazione dei peccati dell'umanità è lo stesso Cristo che diventa altare, vittima e anche sacerdote. La morte prossima di Gesù nel luogo detto Cranio realizzerà il riscatto da tutti i peccati dell'umanità definendo l'alleanza definitiva fra Dio e l'uomo in modo differente che nelle alleanze precedenti in Abramo e in Noè. Gesù si configura a Melkisedek, re di giustizia e di pace che offriva pane e vino al Dio altissimo (Gen 14, 18; Eb 7, 1 - 4), ma la sua figura di sacerdote sommo è di gran lunga superiore al medesimo: egli è sacerdote in quanto agnello e vittima, pane e vino sono il suo Corpo e il suo Sangue, e adempie lui stesso ogni giustizia perché tutti giustifica sulla croce.
In tutta questa gestualità Gesù anticipa l'amore di auto donazione estrema che avrà luogo sulla croce, lo rende manifesto nel simbolo (sacramento) del pane e del vino. Distribuendo ai suoi il pane identificato con il suo Corpo e il vino con il suo Sangue, egli suddivide ai discepoli e a tutti la sua stessa vita, concedendo se stesso in offerta sacrificale. Ma ancora più esaltante è il fatto che questo sacrificio di auto oblazione è destinato a perpetuarsi nel tempo, o meglio a ripresentarsi pur essendo stato realizzato una volta per sempre: "Fate questo in memoria di me". Gesù chiede che ogni volta che si mangia del pane e del vino si celebri il memoriale, cioè il ricordo attualizzante, della sua morte sulle offerte del pane e del vino. Esse diventeranno ogni volta il suo Corpo e il suo Sangue fino a quando egli non farà visibilmente ritorno alla fine dei tempi.
La ripresentazione sull'altare del Corpo e del Sangue di Cristo e del sacrificio della croce è per noi occasione di partecipare al carattere di dolore e di sofferenza con cui Cristo ha realizzato la nostra redenzione, di configurarci alla sua sofferenza perché diventi per noi motivo di salvezza, al suo dolore di crocifisso che per noi sarà gioia di Risorto. Come dice il testo della Regola del Terz'Ordine dei Minimi, partecipare alla celebrazione eucaristica è occasione per cui "la morte preziosa di Cristo diventi vita per noi, il suo dolore nostra medicina la sua fatica riposo..." e che siamo corroborati dalla passione dolorosa di Cristo che nella Messa si rinnova.
Insomma, trarre vantaggio salutare dal sacrificio della croce che ci viene ripresentato sull'altare.
La celebrazione dell'Eucarestia è però anche una comunione che si estrinseca nella gioia conviviale del banchetto che ha come vivanda lo stesso Corpo del Signore: questi ci si dono come alimento di vita e farmaco di immortalità che rinnova la pienezza della grazia individuale e che estende ai fratelli la comunione gi gioia realizzata dallo stesso Signore Gesù.
La Messa è quindi un evento gioioso, una mensa di condivisione e di letizia che ci raduna tutti nel vincolo della comunione e che non può non caratterizzare la gioia dell'incontro fra di noi in conseguenza della consumazione del pasto di comunione con il Signore. Personalmente che fortunatamente le nostre celebrazioni domenicali, soprattutto la cosiddetta "Messa della comunità", sono caratterizzate in ogni caso da un clima di serenità e di gioia che si estende al termine della stessa funzione liturgica e che si evince anche dal dato esteriore (tante volte) dell'eleganza del vestito e della socializzazione, dal dialogo, l'incontro fra singoli, famiglie e bambini che si intrattengono per un po' di tempo nei locali oratoriani della nostra struttura ecclesiale prima di andare insieme a casa non prima di aver comprato i dolci in pasticceria. Tutto questo è molto bello ed edificante e come sarebbe bello se tutti lo si attribuisse all'Eucarestia appena celebrata! Dovremmo riscoprire e comunicare anche ad altri la gioia del sacramento di comunione, per il quale la Messa domenicale è un privilegio, un dono del Risorto, e non semplicemente un comandamento sterile a cui passivamente dover sottostare.
Soprattutto sarebbe molto bello considerare che la stessa Eucarestia domenicale è espressione dell'amore sacrificale con cui Dio si è rivelato nel suo Figlio Gesù Cristo.