Omelia (29-03-2013)
padre Gian Franco Scarpitta
La prova del nove dell'amore supremo

La Cena nella stanza al primo piano di Gerusalemme, di cui si parlava nel pomeriggio di ieri, è l'anticipazione della croce di Cristo, che a sua volta è il luogo supremo della rivelazione di Dio come Amore. E' soprattutto nell'accettazione della croce che Dio si rivela come supremo Amante dell'uomo e nessun altro argomento può essere più convincente se è vero che ad appendervisi è l'autore della vita (At3, 12), il Re e Salvatore universale, che aveva già deciso di umiliarsi fino a farsi uomo per noi nell'Incarnazione. Avrebbe potuto convincere l'uomo con altri mezzi quanto al peccato, avrebbe potuto mostrare tutta la sua potenza e la magnificenza divina in un solo atto coercitivo o di costrizione, ma preferisce scegliere l'amore indefinito, umiliandosi fino all'estremo supplizio.
Un Dio che diventa uomo è già cosa sorprendente e magnifica; un Dio che muore sulla croce è cosa ancora più esaltante, una scelta comunemente interpretata come assurda, irrazionale, ai livelli della pazzia e del paradosso. Ma proprio in ciò che comunemente noi consideriamo assurdo e improprio Dio sceglie di manifestarsi, perché solo nell' umiliazione può darsi la prova del nove dell'amore. Colui che aveva procacciato l'onore del'uomo, diventa agli occhi degli uomini vergogna e riprovevole inverecondia (Von Balthasar); colui che era l'artefice di ogni benedizione, diventa scherno e maledizione per noi (Gal 3, 10 - 11). Già annichilito e spogliato della sua prerogativa di grandezza nel farsi uomo per noi (Fil 2, 1 e ss), adesso Dio in Cristo annienta se stesso abbassandosi fino all'inverosimile, concedendosi all'infamia e al ridicolo, accettando deprezzamenti e vessazioni ignominiose senza reagire né minacciare vendetta (Is 52), anzi invocando il perdono divino per coloro che non sanno quello che fanno. Questa divina autoconsegna è appunto il contrassegno dell'amore che contraddistingue la rivelazione del Dio cristiano da tutti le altre divinità religiose ed è il contrassegno dell'uomo cristiano raggiunto dalla libera iniziativa di Dio.
Nella croce, come rilevava Moltmann, Dio consegna se stesso agli uomini e nella spirazione del proprio Figlio consegna se stesso a se se medesimo; soprattutto è lì che Dio spende tutto se stesso. E così facendo mette l'uomo in grado di rapportarsi anche con se stesso, ponendolo di fronte all'Assoluto al quale deve rendere conto, ma dal quale si vede raggiunto e salvato. Allo stesso tempo, nella croce l'uomo viene messo in relazione con i fratelli e collocato nella sua responsabilità di essere socialmente aperto e proteso verso gli altri. Due sono infatti gli obiettivi di redenzione che la croce raggiunge a nostro vantaggio:
1) la riconciliazione fra Dio e il mondo: Dio nella croce del suo Figlio riconcilia l'uomo rendendolo giusto, ossia rendendogli tutti quei meriti e quelle possibilità per le quali adesso può entrare comunione con Lui. Se l'uomo aveva peccato ed era meritorio di condanna, la croce di Cristo riscatta tutti i suoi peccati, espia tutte le sue colpe, in una parola giustifica l'uomo. Ragion per cui, come dice Giovanni, lungi da noi commettere peccato, "ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo il Giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo." (1Gv 2, 1- 2) Nella morte (e nella resurrezione) di Cristo l'uomo è riconciliato con Dio, non per i suoi meriti ma per l'amore di cui Egli ha voluto rendere la massima espressione.
2) Al momento della morte, il velo del tempio si squarcia e questo annuncia la novità che nessuna costruzione di mattoni per opera dell'uomo è necessaria affinché si realizzi l'incontro fra Dio e l'uomo; adesso il nuovo tempio è Cristo stesso che ha assunto la morte. Il che significa che la salvezza nella comunione con Dio si estende a tutti gli uomini, che il sacrificio della croce ha tutti i popoli come destinatari e che a prescindere dalle razze e dalla varietà delle culture tutti gli uomini sono invitati, mediante Cristo, alla comunione con Dio. Al momento della morte, uno dei soldati trafigge il costato di Gesù e da esso scaturiscono sangue e acqua, simbolo dei sacramenti sui quali si inaugura la Chiesa: Battesimo ed Eucarestia. Essi attestano anche al fatto che la Chiesa stessa è sacramento universale di salvezza. Come diceva Cirillo di Gerusalemme, insomma "Dio ha disteso sulla croce le sue mani per abbracciare i confini dell'universo", per realizzare la comunione e l'incontro fra tutti i popoli.
Dal mistero della croce scaturisce quindi la vocazione fondamentale dell'uomo davanti a Dio, la sua dimensione di persona che si eleva non senza l'intervento della grazia; allo stesso tempo emerge anche il fondamento della comunione e della condivisione. L'individuo nella croce è esaltato e insieme anche la sua dimensione comunitaria viene assunta e fatta propria del divino, anzi divinizzata.
Bonhoeffer afferma che la croce è quell'evento in cui viene "rovesciato ogni essere umano", e il cuore dell'uomo viene convertito in un "essere per gli altri" non senza essere prima diventato un essere per Dio e per se stesso.
E' questo quindi l'apporto della morte di croce di Gesù: il vantaggio dell'uomo nella sua globalità, il suo essere reso giusto davanti a Dio per trovarsi esaltato al cospetto dei fratelli. Solo un Dio amore avrebbe potuto tanto.
Nella croce vi è quindi la novità dell'uomo e questa costituisce la sua opportunità. E questa a sua volta vien data dalla volontà libera con cui Dio ha realizzato il supremo sacrificio della propria immolazione. Un Dio che ama l'uomo fino all'inverosimile scegliendo l'inverosimile per rivelarsi al mondo.