Omelia (07-04-2013) |
mons. Roberto Brunelli |
La domenica nell'anno della fede Gli ebrei misuravano i giorni in cicli di sette, riservando l'ultimo, il sabato, a Dio. Gesù è risorto "il primo giorno dopo il sabato", il primo della nuova settimana, e proprio per celebrare quell'evento i suoi seguaci hanno spostato di un giorno la festa settimanale. La motivazione è richiamata nella seconda lettura, che costituisce la pagina d'esordio dell'Apocalisse, l'ultimo libro della Bibbia, scritto vari decenni dopo Gesù. Giovanni scrive di averlo visto e di averne ricevuto il comando di esporre quanto gli è stato mostrato, e scrive che ciò avvenne "nel giorno del Signore". I primi cristiani avevano dunque già individuato un giorno della settimana da dedicare a Dio: il "giorno del Signore", in latino ‘dies dominica', da cui Domenica. "Io sono il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre", dice Gesù a Giovanni in quella circostanza; parla dunque della sua risurrezione, il fulcro della fede, che "il primo giorno dopo il sabato" vuole richiamare e celebrare. Quel fatto decisivo è richiamato anche dal vangelo (Giovanni 20,19-31), riferendo due distinte manifestazioni del Risorto ai suoi discepoli. La prima è avvenuta il giorno stesso della risurrezione: "La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse: ‘Pace a voi!' Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi'. Detto questo, soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". Sta qui, in queste parole, il senso della Chiesa: mandata nel mondo quale strumento di Dio, disposto, anzi desideroso, di risanare spiritualmente chi si rivolge a lui. L'evangelista Giovanni, qualche riga dopo, dichiara di avere scritto il vangelo "perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome". La fede è dunque la condizione per ottenere il perdono dei peccati e così conseguire la vita: già in questo mondo, una vita consona con la dignità dell'uomo, e nell'altro, la vita senza fine. L'uomo non può vantare alcun diritto ad ottenere il perdono e la vita: se l'ottiene è solo per la misericordia di Dio. Per rimarcarlo, il papa Giovanni Paolo II ha voluto che la domenica seguente la Pasqua - vale a dire, per l'anno in corso, oggi - sia la domenica "della divina misericordia", invitando così tutti a riflettere su questo incommensurabile dono, ed esprimere al Donatore il proprio umile ringraziamento. Ma tornando al brano evangelico, la narrazione continua riferendo quanto accadde otto giorni dopo, cioè come oggi. Alla precedente manifestazione del Risorto non era presente l'apostolo Tommaso, il quale non aveva voluto credere alla testimonianza degli altri: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo". Con infinita benevolenza, otto giorni dopo Gesù tornò proprio per lui, lo invitò a toccare, e concluse con parole che riguardano tutti i suoi seguaci dei secoli a venire: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!" Siamo nell'anno della fede. Chi si interroga sui perché più profondi, trova le risposte solo qui, e non certo nelle teorie di chi pretende sia valido soltanto ciò che si vede e si tocca. Come ha scritto uno dei maggiori filosofi del Novecento, l'austriaco Ludwig Wittgenstein, "Noi sentiamo che pure se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati". |