Omelia (14-03-2004) |
padre Paul Devreux |
Commento Luca 13,1-9 Gesù parla di un fico piantato nella vigna. E' la vigna del Signore, il regno di Dio, i tralci siamo noi. Stranamente, in questa vigna, pianta anche un fico. E' strano perché il fico di per se non si pianta, nasce spontaneo, e se toglie terreno alla vigna, si cerca di sradicarlo. E' una pianta che non ha bisogno di nessuno, lussureggiante, dannosa e dispettosa. Può cresce dappertutto: in cima ad un muro, tra i rovi. Non ha di certo bisogno che le sia zappato il terreno intorno o di essere concimata. Se non produce frutti è solo per pigrizia, perché è troppo sicura di se. Chi sono io in questa vigna: un tralcio o la pianta di fico? Notiamo che Dio non ha paura di piantare l'uno e l'altro nella sua vigna. Il fico sterile si sveglia solo quando per qualche motivo o grazia ricevuta si accorge che la sua vita volge al termine. A quel punto, facendo il suo bilancio, si sente carente, si fa dei sensi di colpa, e comincia a pensare che Dio lo sta castigando. Questo perché chi non ha amato, non riesce a credere che il nostro Dio è capace d'amare anche il fico. Guarda alla morte come ad un castigo, perché non ha conosciuto che è la via dell'amore e della piena comunione con Dio. Gesù, con questa parabola del fico, vuole convincerci del fatto che Dio non è affatto vendicativo con il fico. Se da una parte considera giusto che non sfrutti il terreno che altri userebbero meglio, d'altra parte non esita a mandare suo figlio per cercare ancora di salvarlo dalla sua sterilità e da una morte brutta. Ed ecco Gesù vignaiolo che si mette lì, a zappettare e concimare il terreno per il fico, dandogli il suo tempo e la sua vita, la sua carne e il suo sangue, mentre io considererei molto più utile dargli una scarica di botte a questo fico. Ma se mi accorgo che quel fico sono io? |