Omelia (14-04-2013) |
mons. Gianfranco Poma |
E' il Signore! Il brano che la Liturgia ci fa leggere nella terza domenica di Pasqua (Giov.21,1-19) è la prima parte dell' "epilogo" che aggiunge al Vangelo una dimensione ecclesiologica che riflette la situazione e la professione di fede delle comunità giovannee. Nel corso del IV Vangelo Pietro non ha il posto d'onore come nei sinottici: solo nel cap.20 gli è stato riconosciuto un certo primato e solo nell'epilogo del cap.21, dalle labbra di Gesù gli viene attribuita la responsabilità del gregge: fondandosi sul dialogo tra Gesù e Pietro la comunità giovannea riconosce la propria appartenenza alla Chiesa di Pietro. La rivelazione Cristologica non è più l'oggetto principale del racconto. L'attenzione si concentra ormai sulla funzione dei due personaggi chiave del futuro postpasquale che comincia Pietro e il discepolo che Gesù ama. Il tema è sviluppato in due episodi: il primo è il racconto di una pesca (21,1-14); il secondo (21,15-23) è un dialogo tra Gesù e Pietro mentre il discepolo amato rimane sullo sfondo. Un doppio commento conclude il racconto e ne dichiara il valore di testimonianza fedele alla verità cioè in grado di rivelare la presenza di Dio nella storia di Gesù; un secondo commento sottolinea il valore inesauribile della vita e dell'azione di Gesù. L'obbiettivo del primo episodio (vv.1-14), dalla composizione molto complessa, è di descrivere la qualità del tempo postpasquale, combinando un racconto di apparizione di Gesù sulla riva del lago di Tiberiade e un racconto di miracolo, la pesca abbondante. Sono cinque gli aspetti che mettono in risalto la qualità del tempo nuovo aperto da Cristo risorto. Il primo: questa scena è in stretta relazione con quella narrata nel cap.6 (il pane di vita): il Risorto è in continuità con il Gesù della storia. Al miracolo del pane abbondante corrisponde quello della pesca miracolosa: Gesù, anche dopo la Pasqua, continua a nutrire i suoi con abbondanza. Il pasto preso in comune ha una connotazione eucaristica e significa che Gesù si manifesta ormai ai suoi attraverso i segni: la Cena celebrata in comune rende attuale il tempo della Parola che si incarna nella storia. Il secondo: Gesù risorto è Colui che "si manifesta" dove e quando vuole, ma sempre amando i suoi discepoli. Questi hanno difficoltà a riconoscerlo perché è il Cristo "presente" e "nascosto": solo lo sguardo della fede, che è quella del discepolo amato, può vedere nei fatti della vita lo spazio dell'incontro con il Signore. Il terzo: la comunità che legge il Vangelo (oggi, noi) è invitata a riconoscersi nella "barca" dei discepoli che sperimentano il fallimento di una pesca infruttuosa ma sono chiamati ad affidarsi alla Parola del Signore. Lui solo può dare loro ciò di cui hanno veramente bisogno, con una sovrabbondanza impensabile. Il quarto: è il discepolo amato che percepisce immediatamente la presenza del Signore mentre Pietro svolge un ruolo pastorale tutto suo. Stringendosi la veste attorno ai fianchi esprime il suo rispetto per Gesù; gettandosi nell'acqua per raggiungerlo, dice la volontà di impegnarsi totalmente per il Signore. Anche gli altri discepoli sono presenti: ascoltano la Parola di Gesù pur non essendosi accorti che era lui; gettano la rete e fanno una pesca sovrabbondante; conducono la barca, trascinano la rete. Ma è Pietro che sale sulla barca e tira a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci, senza che si spezzi: egli ha la responsabilità di una comunità numerosa, diversa, universale, alla quale assicura l'unità. I discepoli che vivono la loro vita con le loro difficoltà, il discepolo amato, Pietro: abbiamo, qui, una bellissima icona della Chiesa, così immersa nella storia e così amata dal suo Signore, che l'aspetta, le parla, la guida, è la sua forza. Il quinto, legato al precedente: la comunità post-pasquale, ha bisogno di mediazioni che le permettono di esistere. Ha bisogno dell'interprete, il discepolo amato: solo chi crede l'Amore di Colui che è vivo perché ha donato la vita, sa riconoscerlo nel presente della storia e lo sa indicare ai fratelli e alle sorelle. Non esiste la Chiesa senza chi, credendo l'Amore lo mostra. Ha bisogno di Pietro, il "pastore" che raduna i suoi per andare a "pescare", che si butta per l'incontro con il suo Signore e custodisce i credenti nell'unità della fede, ma la Chiesa vive del suo Signore, che per lei dona la vita e continuamente prepara la mensa perché possa nutrirsi del suo Amore. Il pasto è un'esperienza vissuta da tutta la comunità: dopo aver pranzato, Gesù si rivolge personalmente a Simon Pietro chiamandolo come la prima volta che lo aveva incontrato "Simone figlio di Giovanni". È evidente l'intenzione di Gesù di far ripercorrere al discepolo tutta l'esperienza vissuta con lui: i suoi slanci di entusiasmo e i suoi tradimenti. Come si comporterà Colui che è stato rinnegato? Gesù non condanna Pietro: non solo lo mantiene tra i suoi discepoli, ma gli affida la responsabilità del gruppo. Perdona Pietro e il suo perdono non è superficiale oblio di ciò che è avvenuto, né consolatoria fiducia per possibili occasioni migliori nel futuro: è offerta di una possibilità per assumersi il proprio passato, senza negare niente. Inoltre, Gesù non dice semplicemente a Pietro: "Io ti amo". In questo modo, il soggetto resterebbe sempre Lui, Gesù, lasciando Pietro nella condizione di "oggetto" del suo amore. Interpellandolo in questo modo, dà al discepolo la possibilità di diventare il soggetto del verbo. Il Maestro sa bene che il discepolo non aveva saputo amarlo: glielo aveva anche annunciato (13,37-38). Pietro ha fatto l'esperienza della propria debolezza, ma adesso gli è offerta la possibilità di ricostruirsi partendo dalla propria verità amata da Gesù. Nel dialogo con il quale Gesù per tre volte interpella il discepolo che per tre volte lo aveva rinnegato, "amare" è espresso nel testo greco con due verbi diversi: il primo significa "dono di sé"; il secondo "avere amicizia". Non è certo se l'alternanza dei verbi, come nella risposta di Gesù l'alternanza tra "pasci i miei agnelli" e "pasci le mie pecore" sia solo per motivo di stile o abbia un significato preciso. Il modo raffinato con cui tutto è narrato sottolinea che tra il discepolo e il Maestro i due tipi di amore sono tra loro intrecciati: affetto e dono della vita per la persona amata sono strettamente legati. Dopo ogni dichiarazione di amore, Gesù affida a Pietro la responsabilità del gregge mostrando che questo incarico non dipende dalla qualità del discepolo ma dall'amore accolto e donato. Ancora una volta, la varietà delle parole usate può indicare le diverse sfumature della missione: un primo verbo significa "sii il pastore", cioè "provvedi al nutrimento"; mentre l'altro verbo significa "conduci il gregge", "proteggilo". Così "gli agnelli" può significare "i più deboli" mentre "le pecore" "le persone più mature". A Pietro Gesù affida la cura di un gregge che rimane comunque suo perché lui solo dona la vita e chiama ciascuno per nome: Pietro avrà la responsabilità ma non dovrà mai appropriarsene. Tutto è e deve rimanere solo una questione di Amore. Per tre volte Pietro ha rinnegato Gesù e per tre volte adesso dichiara il suo amore per Gesù, che di nuovo lo chiama perché impari che niente lo potrà separare dal suo Amore: il discepolo rimane tale, non nonostante abbia rinnegato Gesù, ma proprio perché attraverso questa esperienza ha conosciuto il suo Amore senza limite. "Seguimi" è l'invito finale che Gesù rivolge a Pietro. L'invito a rimanere suo discepolo fino in fondo significa imparare a conoscere l'Amore senza limite di Gesù. A Pietro continuamente tentato di farsi protagonista, pur con i suoi slanci di amore, Gesù chiede di lasciarsi amare da Lui: solo lasciandosi spogliare di tutto, diventando anonimo come il discepolo amato, può condurre il gregge in nome di Colui che scomparendo dona la vita, perché questo è l'Amore, questo è Dio. |