Omelia (08-05-2013)
Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Atti 17,28

Di lui anche noi siamo stirpe
At 17,28


Come vivere questa Parola?

Siamo talmente abituati a definirci figli di Dio da non afferrare più la profondità di questa affermazione: è diventato quasi un modo di dire che non ci scalfisce più di tanto. Eppure è proprio qui il fondamento della nostra grandezza.

Le mie radici sono in Dio: da questa salda Roccia sono stato intagliato come un blocco di marmo di Carrara. Di pregio quindi, nonostante il limite che mi segna costituzionalmente e che mi impegna in un lavorio serio e continuo perché l'immagine divina che reco impressa in me si sprigioni in tutta la sua bellezza: è il compito che mi è stato affidato il giorno in cui sono stato chiamato alla vita.

Purtroppo noi siamo portati più a fermarci sul limite che non sulle ricche potenzialità che se sviluppate ci farebbero spaziare verso quell'infinito di cui sentiamo così forte il richiamo.

Il bisogno di trascenderci, protendendoci verso un di più a cui talvolta non riusciamo a dare un nome, non è altro che il richiamo insopprimibile del nostro io più vero che non si rassegna a starsene rattrappito e dimenticato in quella nobile materia prima che ci è stata consegnata proprio perché lo liberassimo divenendo collaboratori di Dio, "con-creatori" di noi stessi.

Ma non è esaltante pensare che il Creatore, che ben conosce i nostri limiti, si fidi di noi fino ad affidarci il suo capolavoro, cioè noi stessi, perché contribuiamo ad esaltarne tutta la profonda bellezza e dignità? Eppure molte volte reagiamo come gli Ateniesi quando veniamo sollecitati a liberarci dalla grettezza di vedute prive di ideali, anzi schiavizzanti quali idoli elevati dalla presunzione umana: "Ti sentiremo più tardi!", rispondiamo, magari non verbalmente, allo Spirito che ci sollecita interiormente o esteriormente con eventi, incontri, parole.

Mi è più facile, Signore, piangere sui miei limiti, chiederti perdono dei miei peccati, che ringraziarti per il tuo gesto di fiducia e di amore che mi ha posto in essere quale tuo capolavoro. Potrebbe sembrare umiltà, ma in fondo è un gretto ripiegarmi su me stesso, amareggiato dal fatto che... sono immagine di Dio, ma non sono Dio! È il triste e opprimente residuo della tentazione adamitica che continua a corrodere il mio rapporto con te, con me stesso, con gli altri.

La voce di un dottore della chiesa

E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, ed i grandi flutti del mare, ed il lungo corso dei fiumi, e l'immensità dell'Oceano, ed il volgere degli astri e si dimenticano di se medesimi
Sant'Agostino