Omelia (09-04-2004)
don Mario Campisi
"...Uno spettacolo per l'umanità..."

La Passione secondo Luca esprime bene ciò che si stava compiendo sotto gli occhi di tutti, presenti alla crocifissione di Gesù: uno "spettacolo".
L'uomo di ieri, come quello di oggi, non sa altro che manifestare la sua fantasia attraverso lo spettacolo. Ci può essere uno spettacolo comico, tragi-comico o drammatico. Ma comunque sempre di spettacolo si tratta. Luca definisce la scena orribile della crocifissione come uno spettacolo al quale tutti, in un primo momento, partecipano soddisfatti e divertiti per l'agonia di un tale di nome Gesù di Nazaret che si era spacciato per Figlio di Dio e che ora era oggetto di derisione e di insulti per non aver commesso nulla di grave.
Quello che organizzano a Gesù i suoi accusatori è un vero e proprio "spettacolo" che per duemila anni di storia l'uomo ha saputo ripresentare nei minimi particolari. Spettacolo è la guerra, l'omicidio, qualsiasi forma di violenza. Oggi tutto questo fa e si chiama "spettacolo". Si potrebbe pensare che l'uomo non ha perso la sua fantasia omicida trasformando l'atto di morte in un meraviglioso spettacolo a cui tutti noi spesso assistiamo inermi. Basta ricordare le tante immagini che giungono nelle nostre case dai vari siti bellici ed ai tanti cadaveri che passano sotto i nostri occhi magari durante il pranzo o la cena nello svolgimento dei notiziari televisivi. Questo l'uomo ha saputo creare con la sua fantasia omicida: uno spettacolo di morte che si perpetua di generazione in generazione.
Il venerdì santo ci richiama a riflettere, nella contemplazione e nell'adorazione, sul grande atto di amore che il Padre fa nel Figlio Gesù Cristo all'umanità accecata dall'odio e dalla violenza, smarrita nella sua coscienza per riportarla a quell'armonia iniziale dell'atto creativo.
Ma dopo la morte, dopo che il mondo pagano e tutta la gente che aveva assistito a questo "spettacolo", nella figura del centurione romano, si era resa conto che "Veramente costui era figlio di Dio", ritorna a casa "percuotendosi il petto".
E' questo il momento del rimorso, del pentimento, dell'essersi resi conto che avevano ucciso l'Innocente di Dio.
In questi giorni un film, "La Passione" di Mel Gibson, ha destato molte polemiche inerenti alla violenza delle immagini. Penso che il fastidio per questo film non sia tanto la violenza delle sequenze cinematografiche, ma piuttosto perché è un film che parla di Gesù. E questo dà fastidio.
E' una critica spesso dettata da pregiudizi.
Ma tutti questi presunti critici della celluloide dove sono quando certi cantanti di rock satanico suonano il loro "spettacolo" aggressivo e blasfemo? Dove sono quando certi films sanguinari e violenti riempiono le sale cinematografiche delle nostre città? E perché questi puritani del vivere quotidiano non spendono una sola parola, se non sottovoce, quando la pornografia invade le edicole, perfino sotto gli occhi dei bambini?
Tutto questo è un grande segnale di un pericoloso rovesciamento culturale. Ancora una volta, ma in altri termini, si ripresenta lo "spettacolo" della crocifissione di Gesù: si vive in un mondo "al contrario", dove la morte e la violenza, invece di spaventare, diventano elementi d'attrazione.
Serpeggia un concetto anticristiano che viene puntualmente lanciato ai giovani da certi films dell'orrore, spingendo a credere che il male alla fine non può essere sconfitto perché il maniaco assassino che viene ucciso, poi risuscita per riprendere la sua attività di violento omicida.
L'idea della continua "risurrezione" dell'assassino (il male) sembra volere prendere posto all'unica e vera Risurrezione che è quella annunciata da Gesù.
Oggi, guardando la croce, interroghiamoci sui tanti "spettacoli" orrendi che riempiono gli occhi della nostra fede facendoci allontanare dall'unico raggio di luce che proviene dal sepolcro. Anche noi, tornando a casa, percuotiamo la nostra coscienza sentendoci anche colpevoli di tutte quelle sentenze che quotidianamente formuliamo verso gli altri, dimenticando quel mandato di amore che Gesù ci ha consegnato compiendo quell'umile gesto della lavanda dei piedi.