Omelia (05-02-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 1,29-39 La suocera di Pietro è a letto con la febbre. Niente a che fare con la nostra influenza, la febbre, a quell'epoca, poteva essere molto pericolosa, sintomo di una infezione o, peggio del tifo. Gesù la guarisce, e la donna si mette a servizio del Maestro. La giornata di Gesù inizia con una guarigione, e con la malattia continua. La malattia è segno di una profonda ferita del corpo e dell'anima, di una stonatura nella grande opera di salvezza di Dio, di una discrepanza nella presunta armonia del cosmo. Peggio: al tempo di Gesù molti pensavano che la malattia fosse una punizione divina, l'ammalato, quindi, era giudicato severamente, non compatito. Gesù opera guarigioni per manifestare la presenza del Regno, non è un maghetto, né un santone. Gesù sa che la salute è tanto, ma non tutto. Che più della salute c'è la salvezza. Perché possiamo essere pieni di salute, ma tristi o malvagi. Marco osa di più: la comunità dei discepoli è formata da persone liberate da ogni "demone" religioso, guarite nel profondo, che si mettono a servizio del Signore, proprio come fa la suocera di Pietro. Marco dona del dolore una lettura nuova, profetica, sconcertante: il Signore Gesù ci salva dal dolore perché possiamo metterci gli uni al servizio degli altri. In un contesto di dolore e di fatica, spesso l'amicizia e l'affetto dei vicini diventano sorgente di speranza. Il senso della nostra vita è quello di imparare ad amare: in questo neppure il dolore può annientarci. |