Omelia (12-02-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Marco 1,40-45

Davanti al dolore non abbiamo bisogno di risposte, se Dio venisse e facesse una conferenza stampa in cui spiegasse la ragione della sofferenza, non avrei, comunque, nessuna soddisfazione. Io non voglio risposte: voglio non soffrire.

Gesù chiede al lebbroso, guarito, il silenzio. Non vuole passare come un guaritore, come un santone, certo, ma vuole anche indicarci il silenzio come unica strada per riflettere sul dolore. Dio tace, di fronte al dolore, e lo porta con sé, lo salva, lo riempie di condivisione. Gesù non dona nessuna risposta al dolore, lo condivide con passione. Le nostre Bibbie non hanno avuto il coraggio della traduzione letterale, e noi troviamo un blando sentimento di "compassione" che Gesù rivolge al lebbroso. No: Gesù, letteralmente prova rabbia, stizza irrefrenabile verso il male, perché vede in esso la vittoria del nemico. Gesù vuole toccare il lebbroso che tutti evitano. Porta su di sé la lebbra. La assume, la salva. Non so se mi basta, ma questo gesto mi scuote nel profondo. Davanti al mistero del dolore, Gesù non dona risposte, ma soffre, amando e trasfigura ogni dolore facendolo diventare redenzione e salvezza. Non molto, ma uno spiraglio lo apre. Il dolore dell'uomo è un dolore che Dio condivide e assume. E salva. E, fra noi, possiamo, vivere aiutandoci a portare i dolori. (O sarebbe già molto non provocarli).