Omelia (08-04-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Giovanni 20,1-9 La tomba vuota, ultimo drammatico regalo fatto a Gesù da parte del discepolo Giuseppe di Arimatea, ricco e potente, che non ha potuto salvare dalla morte il suo Maestro, è rimasta lì, vuota, a Gerusalemme, muta testimone della resurrezione. Tutta la nostra fede è basata sull'assenza di un cadavere. La morte è stata sconfitta. Il Dio nudo, appeso, osteso, evidente, il Dio sconfitto e straziato, il Dio deposto sulla fredda pietra non è più qui, è risorto. Risorto. Non rianimato, non ripresosi, non vivo nel nostro ricordo e amenità consolatorie di questo genere. Gesù è davvero vivo, risorto, presente per sempre. Non è facile credere a questa notizia, lo so bene. Incontreremo, in questi cinquanta giorni, la fatica che hanno fatto gli apostoli, che è la nostra, a convertire il cuore a questa sconcertante novità. Ci vuole fede per superare il proprio dolore. Tutti abbiamo una qualche ragione per sentire vicino Gesù crocifisso. Tutti ci commuoviamo davanti a tale strazio, tutti sappiamo condividere il dolore che è esperienza comune di ogni uomo. Ma gioire no, è un altro paio di maniche, gioire significa uscire dal proprio dolore, non amarlo, superarlo, abbandonandolo. A noi, ora, di credere, di vivere da risorti, di vedere i teli di lino e di credere, come Giovanni e Pietro. A noi, discepoli affannati nella corsa, sempre in ritardo rispetto alla forza dirompente di Dio, resta solo la sfida della fede. Gesù è risorto: smettiamola di cercare il crocefisso, smettiamola di piangerci addosso e di lamentare un Dio assente. Gesù è risorto. |