Omelia (15-04-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Giovanni 20,19-31

È possibile abbandonare i sepolcri? Riuscire, in qualche modo, a dare corpo alla speranza dell'annuncio di Gesù risorto? Sembra una storia a lieto fine: il crocefisso è risorto, il dolore è superato, lui non è più prigioniero della morte. Ma...

Ci sono molte sorelle, molti fratelli, che hanno saputo dell'evento della resurrezione, che hanno udito l'annuncio, che sono stati raggiunti dalla grande novità. Ma che sono ancora nel dolore: la resurrezione, se c'è stata, non li ha raggiunti. Gesù è risorto, certo. Buon per lui. Non ditelo a Tommaso. La sera di Pasqua il maestro ha raggiunto i discepoli. Storditi, attoniti, lo hanno accolto, senza capire, ancora e ancora, cosa sia veramente successo. Ma è vivo, questo solo conta. Le donne avevano ragione. Sono pieni di gioia, i pavidi apostoli, la speranza si è riaccesa, come un turbine, come un'onda che sale lentamente. È vivo, questo è certo. Lo hanno visto, lo hanno riconosciuto. Tommaso è assente. Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti. È gelida la risposta di Tommaso. No, non crede. Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene. Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace. Torna Gesù, apposta per lui.