Omelia (20-05-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 16,15-20 Oggi celebriamo la festa della moltiplicazione e della estensione dell'amore di Cristo. Ognuno di noi può dire, nella fede, a ragione: io ho incontrato Cristo, perché egli non è più ristretto e costretto in un luogo, ma presente in ogni luogo e in ogni tempo, è il raggiungibile. Lo stesso Cristo che ha camminato con i piedi impolverati duemila anni fa, lo stesso Cristo riconosciuto presente nelle comunità primitiva, lo possiamo incontrare nella fede e, ancora oggi, milioni di uomini e donne dicono di averlo conosciuto. Ora in Dio c'è un uomo. Nella pienezza di assoluto che è l'infinito Dio, c'è il volto ben definito di un uomo: Gesù di Nazareth. È come se, ora, Dio ne sapesse di più, come se Dio avesse imparato anche ad essere uomo (lo so, teologicamente scricchiola, ma poeticamente mette i brividi!). Nessuno può più dire: "Dio non conosce la mia sofferenza" oppure: "Che c'entra Dio con la mia vita?". Dio sa. L'Ascensione è come una cerniera nella storia di Gesù e degli apostoli: segna il passaggio da un prima a un dopo cui gli apostoli dovranno abituarsi: Gesù scompare alla loro vista sensibile, torna al Padre pur promettendo una presenza reale. Gli apostoli, è comprensibile, faticheranno ad abituarsi a questa nuova situazione. Gli apostoli sono invitati, dopo avere seguito Gesù nella crocifissione e nella resurrezione, a seguirlo anche nell'ascensione, a diventare testimoni del risorto. |