Omelia (27-05-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Giovanni 15,26-27; 16,12-15 È iniziato il tempo della Chiesa: siamo noi, ora, a rendere visibile il Regno. Ma sentiamo il peso di questo incarico, abbiamo bisogno di un aiuto, di un soccorritore. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo. Luca descrive l'evento rimandando esplicitamente alla teofania di Dio sul monte Sinai: i tuoni, le nubi, il fuoco, il vento sono elementi che descrivono la solennità dell'evento e la presenza di Dio ma che possono anche essere riletti in una chiave spirituale. Lo Spirito è tuono e terremoto: ci scuote nel profondo, scardina le nostre presunte certezze, ci obbliga a superare i luoghi comuni sulla fede (e sul cristianesimo!). Lo Spirito è nube: la nebbia ci costringe a fidarci di qualcuno che ci conduce per non perdere la strada della verità. Lo Spirito è fuoco che riscalda i nostri cuori e illumina i nostri passi. Lo Spirito è vento: siamo noi a dover orientare le vele per raccogliere la sua spinta e attraversare il mare della vita! Lo Spirito diventa l'anti-babele: se l'arroganza degli uomini ha portato alla confusione delle lingue, a non capirsi più, la presenza dello Spirito ci fa udire un solo linguaggio, una sola voce. Invochiamo lo Spirito quando non ci capiamo in famiglia, in parrocchia, sul lavoro. Invochiamolo quando non riusciamo a spiegarci. Lo Spirito fa diventare i pavidi apostoli dei formidabili evangelizzatori: ora non hanno più paura e osano, vanno oltre, dicono senza timore la loro fede e la loro speranza. È la pentecoste: la Chiesa si inebria e diventa missionaria. |