Omelia (03-06-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Matteo 28,16-20

Gesù ci svela che Dio è Trinità. Ci dice che se noi vediamo "da fuori" che Dio è unico, in realtà questa unità è frutto della comunione del Padre col Figlio nello Spirito Santo. Talmente uniti da essere uno, talmente orientati l'uno verso l'altro da essere totalmente uniti.

Dio non è solitudine, immutabile e asettica perfezione, il sommo egoista che basta a se stesso, ma è comunione, festa, famiglia, danza, compassione, dono, amore, tensione dell'uno verso l'altro. Solo Gesù poteva farci accedere alla stanza interiore di Dio, solo Gesù poteva svelarci l'intima gioia, l'intimo tormento di Dio: la comunione. E la Scrittura oggi ci ricorda come, a partire da Israele, questa amicizia tra l'uomo e Dio sia cresciuta fino al dono dello Spirito stesso di Dio in noi. Che significa questa scoperta? Cosa cambia nella nostra quotidianità? Se Dio è comunione, e in lui siamo battezzati e a sua immagine siamo stati creati; questa comunione ci abita e a immagine di questa immagine siamo stati creati. La solitudine ci è insopportabile perché inconcepibile in una logica di comunione. Se giochiamo la nostra vita da solitari non riusciremo mai a trovare la luce interiore perché ci allontaniamo dal progetto. Sartre diceva: l'inferno sono gli altri. Gesù ci ribadisce: Siate perfetti nell'unità. E se anche fare comunione è difficile, farla ci è indispensabile, vitale, e più puntiamo alla comunione e più realizziamo la nostra storia, più ci mettiamo alla scuola di comunione di Dio, più ci realizzeremo.