Omelia (08-07-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Marco 6,1-6

È tutto uno stupore il Vangelo di oggi. Lo stupore della gente di Nazareth che vede il piccolo Gesù tornato come un Profeta dalla sua esperienza a Cafarnao, la città sul lago, lo stupore di Gesù che si meraviglia della loro incredulità.

Siamo scandalizzati dal fatto che la Parola di Dio, la Parola di salvezza, che converte e riempie, sia stata affidata alle fragili mani dei discepoli. Gesù non viene accolto perché conosciuto, banale, normale, privo di quell'aura di ascetismo che dovrebbe caratterizzare gli uomini religiosi. Ecco, diciamolo chiaramente: Gesù è poco religioso per pretendere di parlare di Dio (!). I cristiani non sono perfetti e forse neanche più buoni degli altri e forse nemmeno tanto coerenti. Ma questo non basta a fermare la Parola, non basta a fermare il Cristo, non fa lo sgambetto al contagioso annuncio della Parola. Gli apostoli, ben lontani dal nostro modello asettico e idealista di uomini di fede, vivono la loro pesantezza con realismo e tragicità. Ma Gesù li ha scelti, perché sappiano comprendere le miserie degli altri, accettando anzitutto le proprie. La Chiesa non è la comunità dei perfetti, dei giusti, dei puri, ma dei riconciliati, dei figli. Fatichiamo ad accettarlo, rischiamo di voler correggere il Vangelo perché noi, in fondo in fondo, siamo un po' meglio della gente che critichiamo. Sogno il sogno di Dio: una comunità di persone che si accolgono per ciò che sono, che hanno il coraggio del proprio limite, che non hanno bisogno di umiliare l'altro per sentirsi migliori.