Omelia (15-07-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 6,7-13 Gesù manda i dodici avanti a sé, per preparargli la strada. Siamo mandati a preparare la venuta del Signore, non a sostituirlo, a testimoniare la sua presenza, attraverso la nostra esperienza. La Chiesa è è a totale servizio del Regno, lo accoglie e, per quanto riesce, lo realizza. Marco pone delle condizioni all'annuncio, una sintesi per ricordare ai discepoli con quale stile sono chiamati ad annunciare il Regno. I discepoli sono mandati ad annunciare il Regno a due a due. Non esistono navigatori solitari tra i credenti, tutta la credibilità dell'annuncio si gioca nella sfida del poter costruire comunità. Parlare della comunità in termini astratti è bello e poetico. Vivere nella mia comunità, con quel membro del gruppo, con quel viceparroco, con quel cantore, è un altro affare. Gesù ci tiene alla scommessa della convivenza, fatta per amore al Vangelo. Al di sopra delle simpatie e dei caratteri, Gesù ci invita ad andare all'essenziale, a non fermarci alle sensazioni di pelle, a credere che la testimonianza della comunione, nonostante noi, può davvero spalancare i cuori. La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi, non ci siamo scelti, Gesù ci ha scelto per avere potere sugli spiriti immondi. La Parola che professiamo e viviamo caccia la mondezza dai cuori, la parte tenebrosa che ci abita. Fare comunione pone un limite alle ombre che abitano in ciascuno di noi: senza eliminarle, la luce che porta il vangelo ci illumina e, così facendo, ci rende luminosi gli uni per gli altri. |