Omelia (09-09-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 7,31-37 Gesù non fugge gli impuri e li condanna, come fanno i Perushim, i farisei. Li salva. La guarigione del Vangelo di oggi, fa esclamare alla folla "ha fatto bene ogni cosa, ha fatto vedere i ciechi, ha fatto udire i sordi!". Entusiasmo condivisibile, ma che lascia l'amaro in bocca. Oggi il vangelo parla della malattia e della guarigione. Sarebbe meglio non ammalarsi e raramente ho visto gente trovare Dio e la fede nel dolore. Più spesso la si perde. La nostra predicazione è scivolata nella retorica su questi temi, e ci siamo scordati che il dolore e la malattia stravolgono una vita e, il più delle volte, annegano la fede. Preferisco cento volte essere guarito che offrire la mia sofferenza in comunione a Gesù in croce, non diciamo fesserie! Allora? Gesù ha maturato in sé una certezza: non è vero che "basta la salute". L'uomo vuole immensamente di più, necessita di molte più cose. Abbiamo bisogno di salute, certo. Ma, molto di più desideriamo la felicità. Di fronte ad un malato Gesù chiede: "Cosa vuoi che ti faccia?". Assurdo, no? Vuole la guarigione! Ma ne siamo proprio certi? Gesù sa che solo qualcosa di più grande può rendere felice il cuore dell'uomo. Come i dieci lebbrosi guariti, di cui uno solo, straniero, torna a ringraziare, Gesù dice: "Dieci sono stati sanati, ma uno solo si è salvato". La malattia è mistero e misura del nostro limite, iattura e croce. Ma più della malattia c'è l'assenza di senso. Gesù, guarendo, sta dicendo che il Regno ormai è arrivato, che la presenza del Padre sta contagiando il cuore di ogni uomo. |