Omelia (30-09-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 9,38-43.45.47-48 "Non è dei nostri": quante volte l'ho sentito dire nei paesi, tra i tifosi, in ambito politico, riguardo alla spinosa questione dell'immigrazione... e, ahimè, quante volte l'ho sentito dire anche tra le comunità dei discepoli del Signore Gesù. "Non è dei nostri": abbiamo bisogno di connotarci, di distinguerci, di essere in qualche modo riconoscibili, identificabili. Questo legittimo bisogno che può e deve esistere anche nelle comunità, e che diventa legittimo senso di orgoglio e appartenenza, storia di una parrocchia e delle sue vicissitudini, senso di famigliarità che ci dona la gioia di essere accolti e riconosciuti in ambito fraterno, può degenerare in una sorta di settarismo che contraddice il vangelo, un settarismo "ad intra", nella comunità cristiana stessa. Negli ultimi decenni lo Spirito Santo ha suscitato nella chiesa cattolica numerose e innovative esperienza di fede: movimenti e associazioni hanno saputo cogliere la novità dell'annuncio. Esperienze di preghiera forti e carismatiche, riflessioni e impegni concreti, una forte appartenenza ad una intuizione che travalicava i confini delle parrocchie. Ritengo seriamente che tale abbondanza di intuizioni sia un dono del Signore ma che - come ogni dono - vada vagliato con logica evangelica. Tutte queste esperienze, ormai consolidate nel maggior numero dei casi, sono state e sono uno straordinario dono di Dio. |