Omelia (25-11-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Giovanni 18,33b-37 Una "non festa" conclude il nostro anno liturgico, una festa all'apparenza solenne, che parla di re, che parla di trionfi, che rispolvera antichi fasti di una chiesa militante in perenne scontro col potere mondano, che immagina, forse ingenuamente, una vittoria definitiva di Cristo più ambita che realizzata. Due poteri sono a confronto: quello di Roma imperiale e del suo rappresentante, il procuratore Ponzio Pilato e quello meschino e risibile del falegname di Nazareth che si è preso per Dio. Si diverte, Pilato, a prendere in giro questo misero falegname che ha perso anche l'appoggio dei suoi superiori religiosi. Scherza, irride, gli propone un dialogo all'apparenza giusto, finge giustizia ed equità. Il potere spesso diventa farsa e burla, difende solo se stesso e si contrappone a chi lo ostacola. Il Sinedrio vuole uccidere Gesù ma non può. Pilato vuole salvare Gesù per umiliare il Sinedrio ma non può. Entrambi faranno ciò che non vogliono. Il compromesso, la paura, il calcolo li fanno diventare burattini delle loro ambizioni; Pilato, durante tutto il colloquio, pone solo domande. Non si interroga: interroga. E non ascolta le risposte. "Sei re?" - "Tu lo dici" risponde Gesù a Pilato. "Sei il Figlio di Dio Altissimo?" - "Tu lo dici" risponde Gesù al Sommo Sacerdote. "Tu lo dici": siamo liberi di credere o no, Dio non si impone, mai. Il potere che Gesù viene ad esercitare è il potere a servizio della verità. Che non nutre se stesso, che non si autocelebra, che fugge la gloria e l'apparenza. |