Omelia (25-12-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Luca 2,1-14 Miagola, pigola, vagisce con una flebile voce, come fanno i cuccioli d'uomo appena nati. Gli occhi socchiusi, le minuscole mani serrate a pugno, appoggia il viso grinzoso all'acerbo seno della madre. Per un istante spalanca gli occhi, come ad essere rassicurato, poi ripiomba nel sonno. Ecco Dio. Ecco com'è veramente Dio. Che ha a che vedere, questo neonato, con l'idea che ci siamo fatti di Lui? Che c'entra? Maria appoggia il capo alla parete di pietra, cercando un improbabile sonno. Ecco Dio: enorme inerme, possente fragile, debole per scelta. Suscita tenerezza, viene voglia di prenderlo in braccio, di accarezzarlo! Maria ha creduto nelle parole del principe degli angeli, ha messo la sua vita nelle mani di Dio. E ora è lì, con il mistero dell'Universo che stringe a sé. Prima fra i folli di Dio, prima fra i credenti, prima fra le donne, benedette figlie di Eva che di Dio condividono il generare. Giuseppe siede stanco. Anche lui ha detto sì, ma il suo è stato sofferto, faticoso, strappato. Il Padre lo ha reso padre, lui, ora dovrà accudire Dio e la sua madre, proteggerli e lasciarli crescere, loro così abitati dal Mistero. Sulle colline intorno a Betlemme, i pastori, i bastardi di Dio, i perdenti, gli zingari, gli arraffatori, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza, bestemmiano in cuor loro la sorte. E un angelo appare loro. Per voi, dice. Una mangiatoia, dice. E vanno. E trovano Dio che abita una mangiatoia, come se fosse un trono, e capiscono che anche una mangiatoia che odora di sterco di pecora può diventare il trono del Dio degli sconfitti. |