Omelia (10-01-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 1,21b-28 Per lunghi secoli si è pensato che il vangelo di Marco fosse una sintesi di Matteo, malfatta, per giunta. Colpa delle scarse conoscenze esegetiche di alcuni autori dei primi secoli. Poi la critica testuale di fine Ottocento ha ribaltato la prospettiva: sono Matteo e Luca ad avere copiato Marco che, perciò, è il più antico vangelo scritto, sotto la probabile direzione di Pietro. E Marco inizia il suo vangelo con una serie di affermazioni sconcertanti: la missione di Gesù parte dalla predicazione nei territori pagani e il primo miracolo è la guarigione di un indemoniato nella sinagoga. Come se Marco/Pietro volessero dire alla loro comunità cristiana che il pericolo è dentro la comunità stessa, che occorre purificare il proprio cuore prima di vedere nemici ovunque... E l'indemoniato nella sinagoga (!) ci inquieta: nessuna scena da film horror ma la lucida consapevolezza di sapere chi è Gesù e non volerci avere a che fare. È demoniaca una fede che si accontenta di sapere senza agire, senza voler avere a che fare nella concretezza col Signore Gesù. Marco condanna la visione di una fede solo intellettuale, solo esteriore, che non cambia la vita. Siamo avvertiti! |