Omelia (13-01-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 2,1-12 Dio solo perdona, ovvio. Se Gesù perdona significa che egli è la presenza di Dio. Questo è il significato profondo del testo di oggi. Ma ci sono altre sfumature, ugualmente importanti, nel vangelo letto: la religiosità popolare pensava che la malattia fosse il segno di una maledizione da parte di Dio, la punizione per un peccato commesso. E se uno nasceva malato, scontava la colpa dei propri genitori. Gesù, guarendo il paralitico, smentisce questa credenza dura a morire (ancora oggi!), Dio non ce l'ha con questo povero disgraziato, ma lo salva nel corpo e nell'anima. La gente è stupita, come lo siamo noi: Dio ci salva e ci perdona senza condizioni, ci restituisce alla vita, ci permette di camminare liberi e gioiosi. Il peccato, che è la non-umanità, ciò che non ci realizza, che si svilisce, che ci distrugge, è sanato, tolto. Le autorità religiose del tempo che discutono di teologia e di regole restano attonite; la folla, invece, impazzisce di gioia nello scoprire che Dio non è un giudice arcigno ed impietoso come spesso veniva descritto. Anche noi, oggi, portiamo nella preghiera davanti a Cristo quei fratelli che conosciamo e che sappiamo essere paralizzati nell'anima. |