Omelia (19-01-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Marco 3,7-12

La folla schiaccia il Signore, fa ressa, lo pigia. È un'immagine di profonda umanità, di benefico caos, di irriverente mercato che ci fa sorridere. Quanto siamo distanti dal silenzio asettico del tempio di Gerusalemme! Qui è tutto un pullulare di emozioni, di entusiasmi, di speranze. E Gesù accetta, si lascia travolgere, si lascia toccare. Non fa lo snob, accetta che la fede possa partire da un umanissimo desiderio di guarigione, corre il rischio di essere scambiato per guru e guaritore pur di riuscire a parlare del regno e a condurre le persone alla guarigione più difficile, quella interiore. Gesù chiede ai suoi discepoli una barca per potersi discostare dalla riva quel tanto che basta per potere essere visto e ascoltato da tutti. Che tenerezza! Anche noi, imprestiamo la barca della nostra vita al Signore, facciamolo salire, lasciamo che usi il nostro tempo, le nostre qualità per annunciare il Regno. Non siamo noi ad evangelizzare ma lui attraverso noi e le nostre piccole vite. Qualunque sia la nostra condizione sociale, la nostra cultura, la nostra storia, il Signore ci propone di essere suoi discepoli per aiutarlo a portare l'annuncio ovunque.