Omelia (10-01-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 1,21-28 Marco inizia il suo racconto con un evento sconcertante: la liberazione di un indemoniato. Dentro la sinagoga. Non fuori, né accanto: dentro. È come se Marco dicesse: il primo annuncio che dobbiamo/possiamo fare, la prima liberazione da attuare è dentro la comunità. L'indemoniato è simbolo di tutte le obiezioni che ci impediscono, infine, di tornare ad essere credenti. Abita nella sinagoga, partecipa alla preghiera, professa la sua fede. Marco, con sfrontatezza, con franchezza, come un profeta degno della promessa di Mosè, ammonisce la comunità che legge il suo Vangelo: il primo esorcismo che Gesù esercita è nella comunità, tra i fratelli. Non esistono pericoli "fuori", ma "dentro" di noi, dentro le nostre scelte viviamo le contraddizioni della fede, dentro le nostre comunità abita la logica tenebrosa della divisione. L'affermazione del credente indemoniato è terribile: "Che c'entri con noi, sei venuto per rovinarci!" È demoniaca una fede che tiene il Signore lontano dalla quotidianità, che lo relega nel sacro, che sorride benevola alle pie esortazioni, senza calarle nella dura quotidianità. È demoniaca una fede che vede in Dio un concorrente e che contrappone la piena riuscita della vita alla fede: se Dio esiste io sono castrato, non posso realizzare i miei desideri. È demoniaca una fede che resta alle parole: il demone riconosce in Gesù il santo di Dio ma non aderisce al suo vangelo. Ecco tre rischi concreti e misurabili per noi discepoli che frequentiamo la sinagoga: professare la fede in un Dio che non c'entra con la nostra vita, in un Dio avversario, o in un Dio da riconoscere solo a parole. |