Omelia (18-04-2004)
don Fulvio Bertellini
Dalla persecuzione alla testimonianza

Spaventati e chiusi

I discepoli sono chiusi in casa per timore dei Giudei: così l'evangelista ce li presenta, prima dell'arrivo del Risorto. Un gruppo impaurito, spaventato, chiuso. Ad essi il Risorto si presenta, mostrando le sue piaghe, e salutandoli con un saluto di pace. E' una strana pace quella che proviene da un uomo piagato, che porta i segni della sua sofferenza, a un gruppuscolo timoroso della persecuzione. Ma abbiamo già avuto modo di notarlo: il Risorto rovescia completamente le realtà con cui viene a contatto. La persecuzione latente viene trasformata in occasione di testimonianza: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi".

Il rovesciamento

Si ripete dunque ciò che era già avvenuto in quello stesso cenacolo, in occasione dell'Ultima Cena: la morte violenta ormai imminente era divenuta dono d'amore. L'umile servizio del lavare i piedi era divenuto occasione per affermare l'autentica natura del Regno che Gesù veniva a portare. Il tradimento e il rinnegamento diventano l'occasione per riaffermare l'amore esclusivo ed esigente di Gesù, che non si ferma neppure davanti al rifiuto. La morte violenta diventa il momento in cui risplende il perdono di Dio. "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi": la Risurrezione chiama i discepoli a ripetere ciò che era stato fatto dal Signore e Maestro, nell'ora più decisiva della sua vita.

Un gesto creativo

Più precisamente, il "fare quello che ha fatto Gesù" viene precisato come incarico di perdono: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Forse ci aspetteremmo un invito a fare il bene. O un invito all'amore. O un qualcosa di più concreto e più positivo del "perdonare". Ma tale è il mandato del Risorto: e non sta a noi cambiarlo o contestarlo, ma capirlo in profondità. Rimettere i peccati è gesto creativo, di risurrezione, è immettere novità e sorpresa dove c'era solo morte e abitudine. La Chiesa, nata dal Risorto, non può aver paura di nessun problema, ma riceve forza dallo Spirito per assumere, rovesciare e trasformare qualunque situazione avversa. Non è un compito facile, e lo stanno a testimoniare le piaghe che rendono riconoscibile il Risorto. Gesù ha vinto il peccato caricandoselo sulle spalle. La Chiesa mantovana oggi saprà fare altrettanto?


Flash sulla I lettura

"Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli": la crescita della comunità di Gerusalemme, descritta da Luca nei primi capitoli degli Atti, non è dovuta a una capacità organizzativa, ad una forza economica, ad una ricerca intellettuale e culturale. La comunità ha una forza di attrazione che deriva dalla potenza del Risorto, e che si manifesta con i segni e i prodigi.
"Erano soliti stare insieme nel portico di Salomone": è da annotare che esiste un luogo di ritrovo e una comunità ben precisa ed identificabile degli apostoli, a cui "nessuno osa associarsi": la presenza del Signore, che opera miracoli attraverso i suoi discepoli, esige per manifestarsi un gruppo riconoscibile e identificabile, che si ritrova per la preghiera.
"Andava aumentando il numero": l'aumento numerico non è un criterio assoluto, ma in certi casi può essere un segnale che effettivamente il Signore agisce nei cuori, e che la comunità è aperta all'iniziativa dello Spirito. La Chiesa non può mai limitarsi alla pura conservazione dell'esistente, e questo sia in senso quantitativo, sia in senso qualitativo.
"La folla accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi...": troppo frettolosamente siamo tentati di liquidare questa ricerca come superficiale e miracolistica, e troppo facilmente siamo tentati di associarla a gruppi e fenomeni del nostro tempo, che scambiano ricerca di fede e ricerca del prodigioso. Per la primitiva comunità, l'interesse per i malati è innanzitutto fedeltà al mandato di Cristo, ripetere ciò che aveva fatto il Maestro. E, lo ripetiamo: come per Gesù, così anche per la Chiesa del mondo antico, occuparsi dei poveri, degli indemoniati, equivale ad occuparsi dei rifiuti della società, di coloro di cui nessuno si vuole occupare. Questo è quello che oggi molte comunità cristiane fanno, senza miracolismi, ma compiendo autentici miracoli di amore. Ma lo fanno anche le nostre parrocchie? Sappiamo vedere i piccoli e i poveri che chiedono a noi di rendere presente oggi la potenza del Risorto? E sappiamo riunirci insieme, come gli apostoli, per invocare ed essere segno visibile della sua forza?

Flash sulla II lettura

"Vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione": Giovanni si presenta innanzitutto come uno che sta soffrendo per il Vangelo, per il "regno e la costanza in Gesù". Da questo contesto di fede impegnativa e ostacolata nasce il libro dell'Apocalisse.
"Rapito in estasi nel Giorno del Signore": la Domenica è presentata qui come il giorno in cui l'evangelista riceve consolazione e conforto, per sé e per le comunità: "quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese". Non si tratta dunque di una rivelazione privata ed elitaria, ma di una manifestazione della volontà di Dio, collocata in un ambito liturgico, e che giova all'edificazione di tutta la Chiesa.
"Io sono il Primo, e l'Ultimo e il Vivente": è il Risorto che parla, che continua ad assistere la sua Chiesa, con la sua presenza viva e operante nella storia.
"Scrivi dunque le cose che hai visto...": scrivere un libro significa chiudere, sigillare la rivelazione, che acquista così un carattere definitivo e non superabile. Il riferimento privilegiato è al libro, a ciò che è già stato detto e a ciò che è già stato scritto. Questo testo è molto significativo in un'epoca in cui molti vanno in cerca di segni miracolosi, apparizioni, visioni... che in realtà, al di là di qualche somiglianza di facciata, hanno un carattere molto dieverso dall'esperienza evocata dall'autore dell'Apocalisse. Ciò di cui abbiamo bisogno non sono nuove visioni, ma è una rinnovata capacità di leggere la storia, con l'aiuto del Libro per eccellenza, da leggere e meditare quotidianamente.