Omelia (27-02-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Matteo 25,31-46

Siamo entrati nel deserto per diventare uomini e donne più autentici, più veri, più liberi. Abbiamo seguito il Signore perché ci fidiamo di lui, perché nel deserto scopriamo le nostre immense fragilità, ma siamo anche sostenuti dalla sua amicizia e dalla sua grazia. Il mondo fugge il deserto, teme il silenzio. Noi lo accogliamo come fonte di serenità e di pace, come luogo dove possiamo incontrare la presenza di Dio, l'immenso. Gesù, nel deserto, vuole capire come fare il Messia, come annunciare il Regno. Noi, in questi quaranta giorni che ci sono dati, vogliamo lasciarci illuminare dalle profondità infinite di Dio per capire che cosa siamo diventati. Alla fine di questo percorso si staglia la collina del Golgota, il luogo della prova finale, il Calvario. E la scoperta che Dio si identifica con ogni uomo che quotidianamente incontriamo sulla nostra strada. La densa e inquietante pagina di oggi ci ricorda che la gloria di Dio è l'uomo che vive e che saremo giudicati dalla nostra capacità di riconoscere il suo volto nel povero e nel debole. Il deserto ci permette di ritrovare noi stessi e di vedere il volto del Dio di Gesù riflesso sul volto delle persone che incontreremo.