Omelia (17-03-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Luca 18,9-14 La feroce parabola del Signore ci invita a non vedere la nostra fede come un gioiello da mostrare a Dio, come un'ulteriore occasione per sfoggiare le nostre capacità spirituali. Il fariseo che si compiace della propria devozione, in fondo, dice il vero: sta veramente mettendocela tutta per vivere e osservare le tante regole che i rabbini imponevano al pio israelita. In cosa sbaglia, allora? È consapevole della propria superiorità e si confronta col povero pubblicano, oggettivamente peccatore, che non osa nemmeno alzare lo sguardo. Non è con quelli più lontani da noi che dobbiamo confrontarci, ma con chi ancora potremmo diventare, col progetto di santità che Dio ha su di noi! Siamo sempre pronti a vedere le nostre piccole qualità e a sottolineare i nostri piccoli meriti, se confrontati con le fragilità altrui. Il Signore, invece, ci invita a guardare sempre e solo al nostro percorso, guardando alla meta, non ai fratelli. E Gesù conclude, amareggiato, che il fariseo esce dal tempio senza avere incontrato Dio, perché il suo cuore è ricolmo di sé. Il pubblicano, invece, ha preso consapevolezza del proprio vuoto. Ora è pronto per essere colmato. |