Omelia (22-03-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Giovanni 5,31-47 La guarigione del paralitico alla piscina di Betsaetà in giorno di sabato ha provocato una vivace discussione fra Gesù e i suoi avversari, una specie di processo che mette Gesù sul banco degli imputati. E Gesù affronta la discussione con gli argomenti dei suoi avversari, ricorrendo alle procedure del tempo: nessuno può difendere se stesso ma solo la presenza di altri testimoni possono discolpare un imputato dall'accusa. E Gesù cita i suoi testimoni: le parole del Battista (vv. 33-35), le opere che il Padre gli concede di compiere (vv. 36-37), la Scrittura (v. 39). Il Battista ha parlato di lui, lo ha battezzato, ha indicato ai suoi discepoli che egli è il Messia che tutti aspettano; le opere che Gesù compie, i miracoli che confermano la sua predicazione, sono sotto gli occhi di tutti; la Scrittura, a saperla leggere, indica la venuta di un Messia remissivo e dimesso, proprio come Gesù appare. Ma non c'è nulla da fare: un cuore ostinato, una religiosità che si auto-compiace e si auto-incensa non è in grado di recepire la presenza del Messia. Facciamolo noi, allora, accogliendo la testimonianza dei profeti di oggi, vedendo i tanti prodigi che ancora il Signore compie in mezzo a noi, scrutando le Scritture. |