Omelia (14-04-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Marco 16,9-15 Quella che abbiamo letto è la curiosa e destabilizzante conclusione del vangelo di Marco. È evidente anche ai non-addetti ai lavori che si tratta di un'aggiunta al vangelo di Marco, primo nostro evangelista, una specie di riassunto delle apparizioni del risorto presenti negli altri Sinottici. Il vangelo di Marco, in effetti, finisce bruscamente con le donne che si allontanano dal sepolcro intimorite e senza dire nulla. Perché, allora, Marco non conclude il suo vangelo con il racconto delle apparizioni del risorto? Ci sono diverse, dotte teorie. Da parte mia, più modestamente, penso che ci siano due ragioni. Il vangelo di Marco è caratterizzato dal "segreto messianico": Gesù chiede a tutti di non dire che egli è il Messia. Cosa piuttosto bizzarra! Ma dietro a Marco c'è l'apostolo Pietro: il segreto messianico è una sua prudenza, come a dire: non professate che Gesù è il Messia se prima non siete con lui saliti sulla croce. Così, per le apparizioni del risorto, Marco lascia spazio al discepolo che legge: è lui che deve fare esperienza della resurrezione del Messia nella sua vita interiore. |