Omelia (18-04-2004)
mons. Vincenzo Paglia
Commento Giovanni 20,19-31

La sera del giorno di Pasqua gli apostoli stavano ancora rinserrati nel cenacolo. Gesù aveva trascorso quasi tutta la giornata con due anonimi discepoli che se ne ritornavano tristi ad Emmaus, loro villaggio. Il Vangelo ci riporta alla sera di quel giorno, "mentre erano chiuse le porte" del luogo ove si trovavano i discepoli. Gesù entrò e si fermò in mezzo a loro. Glielo aveva detto il giovedì sera precedente, durante l'ultima cena: "Ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più. Voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi pure vivrete" (Gv 14, 18-19). Ma non avevano capito e comunque non gli avevano creduto. Dalla sera di Pasqua inizia per loro una nuova comprensione di Gesù. Essi vedono un Gesù diverso, risuscitato, anche se è lo stesso di prima: nel suo corpo sono evidenti i segni dei chiodi e lo squarcio della lancia; essi stanno a dire che siamo all'inizio della resurrezione (molti sono ancora oggi i corpi, segnati da ferite e da sofferenze, che aspettano una risurrezione). Gesù risorto è lì, in mezzo ai suoi per affidare loro la sua stessa missione: "Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi". Si tratta di un'unica missione che parte dal Padre e attraverso Gesù si trasmette ai discepoli: è la missione di portare al mondo la pace e il perdono. Fu una sera piena di gioia per quei dieci discepoli: avevano ritrovato il loro Signore. I due di Emmaus, tornati a Gerusalemme a sera inoltrata, aumentarono la letizia di tutti. Non c'era però Tommaso, uomo disponibile e generoso; una volta s'era dichiarato pronto a morire per Gesù, anche se poi era fuggito assieme a tutti gli altri. Quando i dieci gli riferiscono: "Abbiamo visto il Signore!", Tommaso, non solo è scettico, ma li fredda con la sua risposta: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Dice subito: se non vedo. Poi aggiunge, considerando che anche gli occhi possono tradire, una prova fisica anche un po' brutale: mettere il dito nel foro dei chiodi e la mano nello squarcio fatto nel petto. Tommaso non accetta il Vangelo dei dieci e resta, seppure con le sue ragioni, triste e senza speranza. Dopo otto giorni, proprio come in questa domenica, mentre sono di nuovo insieme e Tommaso sta con loro, Gesù torna. Le porte sono ancora una volta chiuse per paura; tutti la sentono, anche Tommaso: incredulità e paura vanno spesso insieme. Gesù, dopo il saluto di pace, subito cerca con gli occhi Tommaso, lo chiama per nome e gli si accosta: "Metti qua il tuo dito - gli dice - e guarda le mie mani. Accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; smetti di essere incredulo e diventa uomo di fede". Tommaso confessa la sua fede: "Signore mio e Dio mio!" E Gesù: "Perché hai veduto, hai creduto? Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno". E' la proclamazione dell'ultima beatitudine del Vangelo, quella che sta a fondamento delle generazioni che da quel momento sino ad oggi si uniranno al gruppo degli undici. La fede, da quel momento in poi, non nasce dalla visione ma dall'ascolto del Vangelo degli apostoli. Narra un'antica leggenda che la mano destra di Tommaso rimase, sino alla sua morte, rossa di sangue. Il Signore, quasi raccogliendo la nostra poca fede, esorta ognuno di noi, come fece con Tommaso, a sporcarci le mani nelle ferite degli uomini, ad accostarci alle situazioni martoriate e abbandonate: la nostra incredulità è presa dal Signore e trasformata in amicizia e fonte di pace. L'ascolto del Vangelo e la carità sono la via della nostra beatitudine.