Omelia (25-06-2012) |
Paolo Curtaz |
Commento su Matteo 7,1-5 Siamo sempre molto abili nel giudicare chi ci sta accanto. Crediamo di sapere, di conoscere, di capire chi ci è vicino. E, troppo spesso, il giudizio che diamo è negativo, tranciante, eccessivo. Se una persona commette un errore, subito esce dalla nostra sfera di amicizia, o, al massimo, gli rivolgiamo qualche attenzione ma con sufficienza. Ma il giudizio più terribile è quello dato in nome della fede, quando, santamente e devotamente, sottolineiamo i difetti o i peccati altrui pensando, facendo così, di rendere onore a Dio. Gesù azzera tutte queste illusioni con un'affermazione che ci fa rabbrividire: prima di giudicare gli altri è meglio analizzare se stessi, togliere la trave che ci impedisce di vedere la pagliuzza nell'occhio del fratello. Non si tratta di evitare il giudizio, di non avere opinioni, certo. Ma di averle mettendosi nella dinamica prospettiva di Dio che non vede il peccato ma il peccatore e del peccatore vede la possibile redenzione. Siamo chiamati a giudicare noi stessi e gli altri con la compassione che ci proviene dal Maestro, sapendo che la vita è un percorso e che ogni errore può essere superato, redento, riparato. Iniziamo questa settimana provando a giudicare in altro modo, mettendoci nella prospettiva di Dio... |