Omelia (02-07-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Matteo 8,18-22

Perché siamo discepoli? In cosa siamo discepoli? Chi vive in opposizione alla fede o alla Chiesa pensa che i cristiani fuggano la realtà per costruirsi un piccolo e rassicurante mondo fatto di pensieri belli e santi. E che la fede sia una specie di gigantesca anestesia dalla realtà, l'oppio dei popoli, come diceva bene qualcuno. Il vangelo, invece, è molto esigente: chiede al discepolo di fuggire i luoghi comuni, chiede consapevolezza di sé. La fede non è un comodo rifugio, non è un "nido", non è un castello che ci protegge dal mondo malvagio: il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo, osa camminare sulle strade del mondo senza protezioni. Così devono essere i suoi discepoli. La fede non difende la tradizione a tutti i costi, non propone un modello sociale basato sulla gerarchia, una sorta di Confucianesimo occidentale: Gesù osa chiedere al discepolo di non partecipare al funerale del padre, non in segno di spregio o per mancanza di rispetto, ma per indicare l'urgenza di una nuova missione e l'esistenza di nuovi e più saldi rapporti di parentela. Non è proprio come lo dipingono gli stereotipi il cristianesimo!