Omelia (17-07-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Matteo 11,20-24

Il dolore di Gesù deborda. Non si aspettava tanta durezza, tanta ostilità, tanta piccineria. Venuto per annunciare la rivoluzione di Dio, la buona notizia della sua compagnia, si ritrova a dover fare i conti con l'indifferenza, con la presunzione di chi pensa di sapere già tutto, di essere salvo, di non avere bisogno di conversione. Soffre, il Signore, soffre terribilmente. E sbotta: come è possibile che la presunzione possa allontanare dalla salvezza? Le città pagane che nella Bibbia sono diventate l'emblema della perdizione verranno salvate, diversamente dalle città sante che si crogiolano nella loro sicumera. Oggi, Gesù, cosa direbbe delle nostre chiese cristiane? Delle nostre comunità sedute e arrivate, che vivono con insofferenza ogni cambiamento, ogni forte invito alla conversione? Cosa direbbe delle nostre parrocchie che rischiano di ridursi ad agenzie di servizi religiosi? Delle nostre convinzioni inossidabili che, in realtà, sono un incrocio fra superstizioni e modi di dire tradizionali? Stiamo attenti, discepoli del Signore, a non ricevere lo stesso rimprovero, a non fare della nostra fede un comodo cuscino su cui sedersi!