Omelia (25-09-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Luca 8,19-21

È un aspetto un po' taciuto dai predicatori di tutti i tempi, forse perché davvero destabilizzante a prenderlo sul serio... In Marco, in particolare, ma anche negli altri vangeli, emerge una novità rispetto alla diffusa mentalità culturale e religiosa del tempo: il prevalere dell'esperienza di fede sull'intoccabile predominanza del clan famigliare. In Israele, come, paradossalmente, anche nella cultura cattolica tradizionale, la famiglia aveva un'importanza assoluta e, come accade anche in altre esperienze religiose come il Confucianesimo, l'equivalenza buon figlio/buon cittadino/buon credente, viene data per scontata. Gesù, invece, osa sovvertire questo automatismo: il discepolato crea dei legami più intensi e duraturi di qualunque altra esperienza famigliare. Gesù considera fratelli e sorelle non i suoi famigliari di Nazareth, ma coloro che ascoltano e vivono la sua parola. Che bello! Anche se abbiamo avuto una triste esperienza famigliare possiamo fare una splendida esperienza di comunità, creando rapporti e legami fondati sulla roccia che è la Parola del Maestro. Nella Chiesa possiamo intessere legami autentici e significativi, uguali e superiori a quelli di sangue.