Omelia (14-11-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Luca 17,11-19

La malattia accomuna i lebbrosi, non ci sono divisioni sociali ed etniche davanti al dolore. Li accomuna la disperazione che li spinge a supplicare il Maestro di Nazareth ad occuparsi di loro. E il Signore accetta e li invia dai sacerdoti a certificare una guarigione che ancora non esiste. È un percorso la guarigione, un cammino, un atto di fede. Ma, alla fine, vistosi guariti, se ne tornano a casa loro. Quanto è difficile guarire dall'ingratitudine! L'unico che torna è il samaritano: non ha un tempio dove andare, va dal Tempio che lo ha guarito. Gesù commenta, sofferente: dieci sono stati sanati, uno solo è stato salvato. Possiamo guarire il corpo ma per la guarigione dell'anima ci vuole la conversione, la volontà, la forza interiore per lasciare che la guarigione contagi tutto noi stessi. Gesù non è il guaritore di turno, il maghetto che può cambiare la nostra cartella clinica. Troppe volte ci avviciniamo a Dio come a un potente da convincere a realizzare la nostra volontà. È importante la salute, lo sa bene chi è ammalato! Ma non è vero che basta la salute! Ci è necessaria la felicità, il bene immenso della presenza di Dio. Ci è necessario l'infinito.