Omelia (17-11-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Luca 18,1-8

Il problema non è Dio, giudice giusto, ma siamo noi. La preghiera è composta di molti aspetti, ha molti modi di esprimersi, lo sappiamo bene. Preghiera di lode, di ringraziamento, di intercessione... ma anche preghiera di domanda. Quest'ultima, anzi, è diventata predominante, le persone, normalmente, pensano che "pregare" coincida col chiedere insistentemente a Dio una grazia. È riduttivo pensare in questo modo, ma comprensibile. Riduttivo perché corriamo il rischio di immaginare Dio come un potente da convincere, come un riottoso superiore da blandire, come un despota da corrompere! Peggio: molto spesso dietro la preghiera di domanda si nasconde una fuga dalla realtà, una deresponsabilizzazione. Quante volte chiediamo a Dio cose che potremmo fare benissimo noi! Quante volte la domanda a Dio nasconde una pigrizia mentale o una sfiducia in noi stessi! La parabola di oggi fa perno sull'ultima domanda che Gesù rivolge al suo uditorio: quando tornerò troverò ancora la fede? È la fede che spinge la vedova a insistere quotidianamente per avere giustizia dal giudice iniquo. Preghiamo con costanza, allora, per ottenere ciò che chiediamo, se Dio lo ritiene necessario al nostro bene...