Omelia (27-12-2012)
Paolo Curtaz
Commento su Giovanni 20,2-8

Festa sgradevole, quella in cui ci siamo ricordati che quel bambino che festeggiamo è segno di contraddizione, ci obbliga a schierarci. Sia: celebrare il primo martire il giorno dopo la nascita del Messia ci richiama alla serietà del discorso, lo toglie dalle nebbioline devozionali per riportarlo nel terreno della fede autentica. E oggi, non paga, non soddisfatta, la liturgia ci chiede di celebrare san Giovanni, il quarto evangelista. Che c'entra? Ho una mia teoria: Giovanni è stato l'evangelista che, più di ogni altro, è volato alto nel cielo della fede, è un'aquila che ha fissato il sole. Il suo vangelo è il più denso, riservato a chi, nella fede, ha già fatto un bel percorso, un "master" per discepoli; per chi, conosciuto il Signore Gesù, desidera penetrarne il mistero. È come se la Chiesa ci invitasse a superare l'apparenza, ad andare oltre, a volare alto. Quel bambino fa tenerezza, certo, come tutti i bambini del mondo, ma inquieta perché ci obbliga a riflettere: chi è, veramente, quel bambino? La pagina della resurrezione ci aiuta a capire il mistero: se celebriamo la nascita di quel bambino è perché lo professiamo Signore morto e risorto. La resurrezione motiva e spiega il Natale...