Omelia (06-06-2013)
Riccardo Ripoli
Amerai il prossimo tuo come te stesso

Nei ventisei anni che mi occupo di bambini e di affido ho conosciuto tante, tantissime persone: genitori violenti, bambini divenuti ragazzi problematici, persone che ci hanno osteggiato senza nemmeno conoscerci. All'inizio, ragazzo poco più che ventenne, era molto difficile accettare certi comportamenti che non capivo, per di più giudicando chi li compiva. Nel mio percorso di maturità una prima fase l'ho raggiunta arrivando a giudicare il peccato e non il peccatore e non è stato difficile, è bastato ragionare sul fatto che non tutti hanno avuto le stesse possibilità di crescere e maturare. penso specialmente a quei genitori abusanti, a quelle persone che hanno fatto del male ad un bambino, atti esecrabili da condannare certamente, ma anche persone da accogliere, accudire, consolare, non già perché genitori di un bimbo in affido, quanto perché Persone. Sento dire spesso "per certe persone ci vorrebbe la pena di morte", ma come si fa a combattere la cattiveria con la cattiveria? Se uno si è comportato male perché dobbiamo comportarci male anche noi? Il Signore ci insegna ad amare il nostro prossimo che è colui che incontriamo, sia esso l'amore della nostra vita, sia il pedofilo, sia colui che ti osteggia senza motivo. Nell'affidamento è certamente difficile dialogare con i genitori abusanti, ma ancor più difficile è amarli. Oltre agli insegnamenti del Vangelo, che al di là della Fede costituiscono comunque una bella filosofia di vita, c'è da considerare che il bambino che abbiamo in affido ama comunque i suoi genitori, salvo rarissimi casi, anche perché tende a idealizzarli, a costruirsi nel cuore e nella mente un film di una vita perfetta, un po' come nel caso di separazione dei genitori il bambino sogna una riunificazione ed una bella vita di nuovo tutti insieme. Se noi avessimo un cattivo rapporto con loro, se li odiassimo, ed il nostro comportamento sicuramente tradirebbe le nostre emozioni per quanto si tenda a tenerle nascoste, il bimbo lo ravviserebbe soffrendone tantissimo. Vivrebbe come in un dualismo, sospeso tra una famiglia e un'altra senza la possibilità di trovare un po' di pace.
A mio avviso, affinché un affido vada a buon fine, il rapporto con la famiglia di origine, per quanto ciò sia fattibile, deve essere il migliore possibile. Più di una volta ci siamo ritrovati a scontri verbali molto accesi con le famiglie di origine nel primo periodo di affido, ma abbiamo sempre cercato di ricucire gli strappi per amore del bimbo e per amore di quella famiglia alla quale, a torto o a ragione, avevano strappato dal cuore una propria creatura. E' chiaro che un genitore che si vede portar via un figlio diventi una iena, è anche normale che non capisca e siamo noi a dovergli dare un mano a capire perché siamo noi che abbiamo in casa una parte di lui. Non servono i tanti ragionamenti, spesso non li capiscono nemmeno, occorre il cuore, è necessario far vedere che nessuno vuole portargli via il bimbo, che siamo tutti uniti per lavorare affinché ritorni in casa dopo che certe situazioni sono state sanate.
L'amore è il primo dei comandamenti. Non credo che riuscirò mai a odiare nessuno, a portare rancore. Prima rispondevo alle accuse e agli attacchi punto per punto, poi ho capito che ciò crea tensioni ulteriori e non porta a nulla, così quando vedo che l'attacco è gratuito e non è una critica costruttiva per un cammino da fare insieme, quando vedo che c'è un muro lascio perdere e attendo tempi migliori, non rinunciando certamente a dire la mia, ma evitando di entrare in conflitto rispondendo alle provocazioni.
Mia mamma diceva "non ti curar di lor, ma guarda e passa"