Omelia (13-06-2013)
Riccardo Ripoli
Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio

Se sono bravo in una cosa è quella di arrabbiarmi. Di noi toscani dicono che siamo "fumini", che ci accendiamo per un niente, pronti a fare mille battaglie.
Chi si arrabbia lo vedo come un fiume in piena che sconquassa ogni cosa, ma pensate a che forza ha quel fiume, pensate se quella sua potenza venisse incanalata in un argine e adoperata per produrre energia.
Sarebbe importante, per coloro che hanno questa grande carica, riuscire ad utilizzarla al meglio, cercare di fare le giuste battaglie e mordere il freno davanti a cose minori. Ognuno di noi ha un suo cammino interiore da intraprendere e portare avanti, ognuno di noi sa quali sono i suoi difetti e, se ha il coraggio di riconoscerli, può anche essere in grado di sconfiggerli. Chi vuole tutto e subito è un illuso se pensa di cambiare dall'oggi al domani, il cammino è lento e non provo di ostacoli e difficoltà. Dobbiamo essere pronti a cadere, a farci male ed essere disposti a ingoiare, a subire, a non rispondere quando la lingua vorrebbe tirar fuori le cose più crude, che si abbia torto o ragione.
Qualche giorno fa ho rimproverato una delle mie bimbe, le ho detto che aveva fatto un errore di valutazione e subito si abbattuta dicendo "non so fare nulla". Questo è l'errore più grosso nel quale, durante la nostra fase di crescita, che dura tutta una vita, possiamo fare, quello cioè di giudicarci o lasciare che altri ci giudichino quando sbagliamo. Non ho mai praticato lo judo, ma da amici ho sempre sentito dire che per vincere si deve sfruttare la forza aggressiva dell'avversario. Nella lotta contro noi stessi dobbiamo pertanto utilizzare la forza che abbiamo, la grinta che mettiamo nello sbagliare per rialzarci, per lasciarsi alle spalle l'errore, pur facendone tesoro per migliorarci, e vedere in noi le cose che facciamo bene. Non è superbia, bensì la giusta arma per vincere l'eterna rivalità tra il bene e il male che dentro noi alberga e convive.