Omelia (09-05-2004) |
mons. Vincenzo Paglia |
Commento Giovanni 13,31-33.34-35 Gli apostoli, dopo la risurrezione, incontrano Gesù ora nel Cenacolo, ora sulla via di Emmaus, ora sul mare di Tiberiade. E' quel che accade anche a noi, di domenica in domenica. Ci ritroviamo assieme infatti per incontrare il Risorto, quello stesso Gesù che aveva detto ai suoi: "Figlioli, ancora per poco sono con voi". Lo incontriamo in questo tempo, mentre tanti pensano sia poco importante e poco utile ascoltare la sua voce. Eppure nel cuore degli uomini ci sono lacrime, lutto, lamento e soprattutto l'affanno del vivere. Chi dimentica di incontrare colui che ha vinto la morte risorgendo alla vita, resta da solo con le sue povere energie, con i suoi poveri sentimenti, magari pieni di autosufficienza; costui viene a scoprire presto l'affanno del vivere, mentre la parte migliore della sua umanità finisce con l'oscurarsi. Basta alzare gli occhi dalla propria piccola vita e guardare verso altre terre per accorgersi di quanta morte, di quanti lutti e lamenti ci sono ancora nel mondo. E noi senza far nulla! Senza dubbio potremmo almeno gridare di più contro lo scandalo di tante ingiustizie e prevaricazioni. Come possiamo essere così indifferenti, quasi ubriachi solo dei nostri problemi, individuali o nazionali? Il credente va incontro al Risorto e invoca un giorno diverso: quel giorno in cui non si levino più lamenti poiché la morte è stata debellata. E' un momento, grave ed esaltante. Quella sera di giovedì, Giuda era appena andato via, e l'atmosfera si era fatta come più serena e familiare: allora Gesù diede loro "il comandamento nuovo". Ogni domenica è così. Il comando che Gesù ci rivolge è un comando "nuovo": "amatevi l'un l'altro come io ho amato voi". "Nuovo", ossia "definitivo", "fondamentale". Quando attorno alla tavola del Signore si cominciano ad ascoltare queste parole e ci si ama come egli ci ha amati, si accende in noi un amore più grande che trascende i nostri abituali confini. Di qui nasce il desiderio di un giorno diverso, migliore, il desiderio della fine di ogni tristezza, di ogni dolore, di ogni potere oscuro. Non è chiesto ai cristiani di costruire la città cristiana; tuttavia, sentiamo una voce che dice: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà "il Dio-con-loro". La vicinanza al Risorto ci tocca e ci trasfigura: il cielo e la terra nuova iniziano quando cominciamo ad amarci come il Signore ci ha amati. E' la trasfigurazione non solo di singole persone, bensì di un gruppo, non importa se piccolo o grande. "E' stato soprattutto la pratica dell'amore – afferma Tertulliano – ad imprimere quasi un marchio di fuoco agli occhi dei pagani: "vedete come si amano" dicono (mentre essi si odiano tra loro) "e come sono pronti a dare la vita l'uno per l'altro" (mentre essi preferiscono uccidersi tra loro). Il comandamento "nuovo" non è solo il distintivo di appartenenza a Cristo, è il volto stesso del Signore risorto che vive in quel piccolo gruppo di poveri discepoli che cercano di metterlo in pratica. |