Omelia (23-05-2004) |
don Fulvio Bertellini |
Testimoni del Risorto Il Cristo dovrà patire e risuscitare Nell'annuncio pasquale sono tenute insieme, in maniera paradossale, sofferenza e gloria, dolore e gioia, amore crocifisso e amore che trionfa... è questo il segreto della fede cristiana: non è né pura denuncia pessimistica, fuga dal mondo reale per evadere nell'aldilà, nei paradisi spirituali o nei paradisi artificiali; e neppure si limita all'esaltazione gioiosa della vita, della realizzazione di sé, del progresso infinito dell'uomo: adesso nel mondo c'è chi soffre e chi muore, e non possiamo dimenticarcene, anche se per fortuna (o forse per grazia?) ci troviamo in un momento di benessere e di gioia. Scontro di civiltà? Qualcuno ipotizza, guardando alla nostra situazione, uno "scontro di civiltà", tra l'Occidente tecnologico, ricco, democratico e libertario, e il mondo islamico, arretrato, tradizionalista, ostile alla democrazia. Oppure tra il Nord del mondo, che detiene il controllo delle risorse e delle conoscenze, e il Sud dei paesi sottosviluppati, incapaci (o impediti?) di sfruttare le loro risorse, impossibilitati (per colpa loro o per colpa di altri?) ad uscire dalla loro situazione di arretratezza. E' forte la tentazione di ridurre a pochi slogan ad effetto la complessità di simili problemi, che in realtà svelano la debolezza delle nostre analisi e delle nostre capacità di controllo: per il momento, il timone della storia non è nelle mani dell'uomo, non è ancora padroneggiato dalla nostra tecnologia, né dalla nostra diplomazia, né dalle nostre armi o dalle nostre rivoluzioni. A questo forse allude anche la Parola di Dio, quando dice "non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti". Rivolto a tutti i popoli Non nel senso che il discepolo debba disinteressarsi della politica o infischiarsi della situazione mondiale. Al contrario: destinatari del suo annuncio sono "tutte le genti", "cominciando da Gerusalemme". La formulazione della prima lettura è ancora più incisiva: "a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e fino agli estremi confini della terra". La Parola di Dio ha una dimensione mondiale, ha qualcosa da dire a tutti, e vuole raggiungere tutti. L'annuncio del Vangelo diventa dunque parola critica verso chi si arrocca nel proprio benessere, dimenticando il dovere della solidarietà; ma anche parola critica verso chi pretende con la forza e la violenza di imporre le proprie idee, sia pure eventualmente per rimediare all'ingiustizia; ed è anche parola di speranza, per chi non intravede soluzioni ed è tentato di cadere nella disperazione. La parola di Dio è parola che ci scuote dalle nostre indifferenze, che ci smuove dalla nostra pigrizia, che ci mette in cammino sulla via della santità... Ma chi annuncerà questa parola? Chi sarà capace di farla risuonare, adattando la sua tonalità alle diverse situazioni e ai diversi destinatari? Colui che siede alla destra di Dio, e i suoi testimoni Noi sappiamo che Gesù stesso proclama la sua parola, e che è il suo Spirito che la adatta ai tempi e alle situazioni. Questa parola non è nostra, ma di Dio. E per fede sappiamo che Dio porta avanti la sua opera. Ma il mistero dell'ascensione che celebriamo è anche il mistero di un nascondimento: il Risorto è "staccato da loro, e portato verso il cielo". La sua presenza non è visibile direttamente. Il suo riconoscimento è legato alla fede, il suo annuncio è affidato alla testimonianza. Il mistero dell'ascensione è dunque anche il mistero della glorificazione dell'umanità: un uomo, Gesù, siede alla destra di Dio. I fratelli di quest'uomo - i suoi discepoli - fatti figli di Dio, sono i suoi testimoni nel mondo. E solo attraverso la loro fragile, limitata testimonianza la Parola di Dio può risuonare, e il Risorto può comunicare e rivelarsi ad ogni persona. Stavano sempre nel tempio, lodando Dio Nella presentazione del Vangelo di Luca, un unico giorno racchiude risurrezione e ascensione. Nella presentazione degli Atti degli apostoli, si parla dei quaranta giorni delle apparizioni. E' evidente l'esigenza letteraria di condensare i fatti in una forma leggibile e ascoltabile. Il punto comune dell'opera lucana è l'attesa: dopo l'ascensione, i discepoli si fermano in preghiera, attendono con fiducia il dono dello Spirito, riorganizzano la comunità dei discepoli. Prima di "fare" i testimoni, i discepoli devono "essere" testimoni, acquisire e rinforzare questa identità, attraverso la preghiera e la vita di comunione. Sono queste dimensioni - preghiera e vita di comunione - che danno respiro alla nostra testimonianza, alla nostra azione pastorale, che permettono che non sia un agire privo di discernimento, con tante buone intenzioni, ma che non compie la volontà del Padre: lì infatti il Risorto, assente e invisibile, si fa presente e sperimentabile, può essere incontrato, ascoltato, mangiato... ma nelle nostre celebrazioni e nelle nostre parrocchie, avviene questo incontro col Risorto? Ed è presente la comunione profonda che ci rende autentici testimoni? Flash sulla I lettura "Apparendo loro per quaranta giorni": la durata delle apparizioni ricorda il tempo di permanenza di Mosè sul Sinai, in occasione del dono della legge. Così l'evangelista fa notare che una legge nuova viene donata, una nuova Alleanza viene istituita, e può avere inizio un nuovo tempo. "attendere che si adempisse la promessa del Padre": la missione dei discepoli non è loro iniziativa, e non si compie per la loro forza, ma deriva dal dono del Padre, che deve infondere nei loro cuori lo Spirito. Anche la missione della Chiesa oggi dovrebbe essere ispirata e sorretta dalla forza dello Spirito; ma spesso prevale l'inerzia delle istituzioni e delle tradizioni, o il cedimento ad attese e istanze umane, senza un adeguato discernimento. Le Diocesi, le parrocchie, i gruppi, portano avanti le loro iniziative da un punto di vista puramente umano, senza essersi abbeverate e incendiate alla fonte e al fuoco dello Spirito: "Giovanni ha battezzato con acqua; voi invece sarete battezzati in Spirito Santo...". La festa liturgica dell'ascensione è un momento privilegiato per riscoprire in profondità la natura della nostra missione, il suo radicamento nello Spirito. Altrimenti troveremo sempre più persone stanche e insoddisfatte che dicono "io ho fatto il mio compito, adesso ci pensino altri", "mi sono dato da fare, e non ho avuto nessun risultato", "sono sempre gli stessi che tirano la carretta". "Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra": solo il discepolo innescato dalla potenza dello Spirito può vivere la durezza della chiamata alla vita e alla testimonianza cristiana in tutta la sua bellezza, e reggere alla fatica della missione, vedendo i suoi orizzonti larghi e infiniti. Cristo non ci chiama a "tirare avanti la carretta", ma ad un annuncio gioioso e trascinante, che ha un respiro universale. Flash sulla II lettura La lettera agli Ebrei mostra come con la risurrezione-ascensione di Gesù ha trovato compimento uno dei grandi problemi dell'Antico Testamento: la possibilità di entrare in contatto con Dio attraverso il tempio. Il tempio antico realizzava l'unione con Dio attraverso il culto sacrificale, compiuto dai sacerdoti. Il popolo era escluso dalla partecipazione al sacrificio vero e proprio: era il sacerdote che realizzava, in maniera simbolica, l'unione con Dio, a favore di tutto il popolo. Il simbolismo del sacrificio antico aveva una duplice, opposta, valenza: da un lato esprimeva e dava corpo alla profonda aspirazione dell'uomo ad una relazione con Dio; dall'altro metteva in evidenza tutta la difficoltà di una simile relazione: tra l'uomo e Dio c'è una distanza infinita, che solo a fatica, e in maniera molto parziale, viene colmata dal sacerdote quando offre la vittima sacrificale. Ma "Cristo non è entrato in un santuario fatto ma mani d'uomo, figura di quello vero": la relazione di Cristo con il padre non è più una relazione puramente figurata, "ma [è entrato] nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore": si tratta di una reale comunicazione con il Padre, da parte del Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello. Si mantiene dunque l'affermazione, già ben nota all'Antico Testamento, e anche alll'esperienza umana, dell'infinita distanza tra l'uomo e Dio, ma si scopre che in Cristo la distanza è stata colmata, c'è una "via nuova e vivente" che ci dà "piena libertà di entrare nel santuario". La nostra vita di preghiera non potrà quindi che essere liturgica: nella liturgia infatti noi entriamo in comunione con Gesù che prega il padre per noi, che prega il Padre al posto nostro, che è unito a noi e nello stesso tempo è unito al Padre. |