Omelia (15-08-2013)
Marco Pedron
Chi è vivo si emoziona, canta e abbraccia

Oggi la chiesa celebra la festa dell'Assunzione di Maria vergine in corpo e anima. La festa non vuol dire che Maria non sia morta. Dice solo che Maria, nella sua integralità (corpo e anima), è in cielo. Dice: "Maria, prima persona, si trova in paradiso, in Dio. Lei è la prima di tutti noi".

La festa ha un significato profondo. Non dice come, ma cosa.
1. La morte non è la fine, ma solo un passaggio, e Maria ne è l'esempio. Nessuno va perduto.
2. Il corpo ha un valore essenziale: non sappiamo come saremo, ma sappiamo che anche il corpo sarà redento, luminoso. Un esempio "illuminante" ci viene dalla fisica quantistica: tutto è materia e tutto è luce. Tutte le cose che esistono sono particelle, materia, ma nello stesso momento luce, energia. Se in questa vita siamo materia, di là saremo luce.
3. Tutto ciò che è vitale, che è amore, che è vita, non termina ma sarà portato a compimento. Non solo di là troveremo tutti i nostri cari, ma anche tutto ciò che abbiamo veramente costruito e vissuto di qua. Tutto ciò che è parziale, di là sarà pieno. Tutto ciò che abbiamo iniziato, di là sarà finito. Tutto ciò che di qua è rimasto seme, di là sarà fiore e pianta. Tutto ciò che è impuro, imperfetto, limitato, di là sarà puro, perfetto e illimitato.
Allora non devo temere di vivere anche la parzialità, il limite di questa vita, perché anche questo ha un suo senso. Nulla di ciò che è vero, amore, vita, andrà perso ma tutto sarà ricapitolato e troverà pienezza.

Il vangelo ci presenta l'incontro tra Maria ed Elisabetta. Elisabetta è la moglie di Zaccaria. Zaccaria era sacerdote della classe di Abia (tra le dieci categorie sacerdotali più importanti), mentre Elisabetta è discendente di Aronne, il fratello di Mosè. Sono il "fior fiore", il meglio che si possa av campo religioso; infatti il vangelo (1,6) dirà che "entrambi erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutti i comandamenti e i precetti del Signore". Erano dei cristiani d.o.c., di "prima classe".
E dobbiamo notare che Zaccaria era sacerdote: "Tu puoi essere anche un prete. Ma per il fatto di essere prete non vuol dire che tu sia vivo. L'essere prete non ti garantisce dalla sterilità e così neppure tutte le tue preghiere".
Zaccaria è così preoccupato di essere giusto, "in regola" con la legge e con le sue devozioni, che non ascolta la voce di Dio. Zaccaria non sa vibrare dentro, per questo non sente Dio.
Eppure c'è qualcosa che non va nella loro vita: non hanno figli. Elisabetta, dice il vangelo, è sterile (1,7). E' chiaro che qui si intende una sterilità più profonda di quella fisica.
All'inizio della Bibbia, Dio aveva dato un comando agli uomini: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gen. 2,28). Dio non voleva dire: "Fate figli!", ma "moltiplicate ciò che siete", cioè evolvetevi, crescete, passate dal piano della materia (Adamo vuol dire terra) a quello dello spirito (Eva è colei che genera).
Allora: Zaccaria ed Elisabetta dicono un sacco di preghiere, di pie devozioni e fanno fioretti religiosi, ma la loro vita non diventa feconda, è sterile, non si approfondisce. Per questo non trasmettono vita: perché tutto è morto dentro, si è rinsecchito, è diventato sterile. Sono vecchi non tanto per l'età, ma perché hanno tradito il comando di Dio di moltiplicarsi, di evolversi. Sono rimasti là, fermi, al giorno in cui si sono sposati. Non è cresciuto niente in loro; non si è sviluppato niente; non è maturato niente di nuovo. Anche se fuori vivono, dentro sono morti. E la morte non può generare la vita. E' solo la vita che dà vita.
Vi capita mai di incontrare delle persone "vecchie", sclerotizzate, ferme? Quando parli con loro, dopo dieci minuti sei già stanco perché sono banali, superficiali, monotoni, rigidi e in genere egocentrati.
Se dopo dieci anni di matrimonio una coppia si rapporta come il giorno dopo il matrimonio, è una coppia morta, sterile: non ha più niente da dirsi, si è fermata, bloccata.
C'è una coppia che, da quando si sono sposati, vanno sempre in vacanza al solito posto, frequentano sempre i soliti amici e ogni domenica sera vanno sempre nella solita pizzeria a mangiare la solita pizza. E' una coppia spenta, che sa di vecchio, morta: non c'è più slancio, non c'è più vita, non scorre più la vitalità.
Una coppia che non si evolve, che non cresce, che non trova ragioni dell'anima per stare insieme (le ragioni spirituali; le ragioni fisiche sono brevi; quelle dei figli non sono sufficienti), o muore o diventa sterile.
Perché stiamo insieme? Per quali ragioni? Dove stiamo andando? Che senso ha la nostra coppia e il nostro stare insieme?
I figli li abbiamo fatti (questo motivo non c'è più): se stiamo insieme solo per "tirarli su", quando se ne andranno sarà tutto finito. Ma questo vuol dire che è già tutto finito dentro al nostro rapporto. Se stiamo insieme per i figli vuol dire che noi non abbiamo nessun motivo per stare insieme.
Ma stare insieme per i figli, non c'entra niente con il nostro stare insieme come coppia. In realtà stare insieme per i figli è decretare la fine del rapporto. Si sta insieme "con" i figli, ma non "per" i figli.
L'obiettivo dell'uomo è trovarsi una donna (e viceversa), poi sposarsi, farsi una casa e avere dei figli. Ma se non fa il salto, se una coppia non fa il passaggio spirituale, muore inevitabilmente. Bisogna, cioè, trovare un motivo spirituale per stare insieme, un motivo dell'anima, una ragione del cuore perché tutti gli altri motivi non possono cementare la coppia.
E' per questo che le coppie si dividono, si separano o semplicemente stanno insieme litigando: non c'è un motivo spirituale, una ragione interiore per stare insieme. Bisogna, cioè, trovare una ragione più forte, spirituale in noi, e questa ragione darà un senso al nostro stare insieme.
La vita di coppia ci fornisce un valore fondamentale per la nostra vita: la stabilità. Stabilità vuol dire una casa, un partner, una famiglia, un non dover rimettere sempre in gioco tutto. La stabilità è rassicurante e placa le nostre angosce e le nostre paure, ma diventa un boomerang quando stabilità diventa immobilità. Allora diventa tomba di morte, sepolcro della vita. Allora si diventa sterili. Allora si giustifica con un valore (matrimonio, stare insieme) la paura di procedere, di crescere, di camminare, di evolversi.
Dopo le nozze d'oro, lui a lei: "Lo sai che è da cinquant'anni che ti amo?". "Caro, tu mi hai amato solo il primo anno, poi hai ripetuto".

Il rapporto tra Zaccaria ed Elisabetta è un rapporto spento, morto, sterile: non c'è più. Ma c'è sempre una possibilità, per chi la vuole accogliere. Il treno passa più volte, per chi lo vuol prendere. Infatti a Zaccaria capita un'occasione unica nella sua vita: viene sorteggiato per l'offerta dell'incenso (1,9). Il sacerdote entrava nel Santo, la stanza del tempio di Gerusalemme il cui accesso è riservato ai sacerdoti, e allo spuntar del sole versava l'incenso sui carboni dell'altare. Poi rimaneva per qualche istante in preghiera. Capitava una volta nella vita, ed era il momento che tutti attendevano.
Finché è dentro al tempio gli appare il Signore. Il testo dice un "angelo del Signore" (1,11) che vuol dire, letteralmente, il Signore stesso. Nel mondo ebraico non si pronunciava e non si scriveva mai il nome di Dio ma si usava, ad esempio, l'espressione "Angelo del Signore". L'annuncio è sconvolgente: "Zaccaria tu avrai un figlio (il Battista)".
Fra te e tua moglie è tutto finito. Pensi già di andare dall'avvocato per la separazione, ma qualcuno ti dice: "Se volete, può nascere qualcosa di nuovo; se volete la vostra sterilità si trasformerà in fecondità". Ci credi? Dai retta a queste parole? Non sembrano pie parole di consolazione?
Ti senti spento dentro, come se la vita avesse preso una direzione a senso unico; ti senti dentro un tunnel e ti sembra di non venirne fuori. Ti sembra che possa essere solo questa l'unica direzione (quante persone vivono questa sensazione di gabbia, di prigione!); ti sembra di non avere nessun'altra chance. "Puoi uscire! Non è una strada a senso unico! Puoi cambiare la tua vita, puoi fare altre strade!". Ci credi?
Ti hanno diagnosticato un inizio di sclerosi. Ti senti predestinato, ti senti all'imbocco di una strada senza ritorno. "Si può uscirne, si può guarire, non sei destinato alla fine". Ci credi?
Zaccaria era sacerdote, era un uomo di preghiera, era "giusto" (seguiva cioè Dio), ma non ci credette. Pregava tanto Zaccaria, ma le sue erano preghiere di morte non di vita. Non c'era nessuna speranza in lui. La sua preghiera era un rito per placare la paura e l'angoscia, ma non liberava la fede e la forza in Dio.
Infatti dice a Dio: "Io sono vecchio" (1,18). E sì, è proprio questo il problema. Tu sei vecchio, tu non vuoi essere giovane, nuovo. Tu hai deciso che la tua vita dev'essere così e solo così. Tu non vuoi aprirti all'avventura, alla novità; non vuoi far nascere la vita che c'è dentro di te e che cova in te. Sì, sei vecchio perché hai sempre i soliti pensieri, le solite quattro idee, fai sempre le solite cose e sempre allo stesso modo. Sì, sei vecchio; sì, sei morto nell'anima.
E' per questo che Zaccaria rimane muto (1,20): perché non ha nessuna vita da dare. Chi dentro è morto, cosa può comunicare? Chi dentro è pieno di rabbia, odio, nervoso, risentimento, acidità, malignità, ma cosa vuoi che comunichi? E sarà così con tutti, anche con i suoi figli! Chi è vecchio non ha vitalità, non ha slancio, non ha energia, non ha forza da comunicare. Chi è vecchio non dà niente di sé se non frasi fatte, le solite regole, alza la voce per farsi rispettare, si impunta sull'onore e si sente offeso facilmente; è molto attento agli altri perché ha perso la sua strada; giudica molto perché è insoddisfatto di sé (e non degli altri).
A molte persone, quando muoiono fisicamente, bisognerebbe scrivere sulla lapide: "La morte è giunta in ritardo!".

Se Zaccaria è vecchio e morto, non così Elisabetta, che infatti concepisce (1,24). Elisabetta può concepire qualcosa di nuovo nella sua vita; può concepirsi diversa, altra, nuova. Zaccaria si vede sempre uguale, sempre lo stesso, per questo è muto, per questo non ha niente da dire.
Fede è potersi concepire in maniera diversa, far uscire e dare alla luce altre dimensioni di sé. Allora si è sempre vivi; allora si è sempre in una continua gravidanza, parto e generazione. Allora si è vita che dà vita.
Sei lo stesso di cinque anni fa? Hai perso cinque anni! Fai le stesse cose di cinque anni fa? Sei rimasto indietro di cinque anni. Preghi, pensi, ragioni, vedi Dio come cinque anni fa? Hai sprecato cinque anni.
La vita è un continuo concepimento, una continua nascita e un continuo generarsi. E' generare la Vita che ci abita.

Anche Maria può concepire perché è aperta, ricettiva. Non è chiusa nei suoi schemi e nelle sue rigidità, per cui c'è spazio perché qualcosa di nuovo possa nascere. Eppure la sua situazione non è affatto semplice! Ciò che la circondava spingeva per il contrario: eppure lei riesce a mantenere un terreno vergine, non contaminato e ricettivo. Là il Nuovo potrà entrare.
Maria è una donna: mai Dio si era rivolto ad una donna! L'unica volta che l'aveva fatto (Gen. 18,10-15) era stato per rimproverare Sara, la moglie di Abramo.
Maria è una donna. Dal terzo al quarantesimo giorno si pregava con fervore perché nascesse un maschio, perché una bambina era sempre causa di tristezza. La donna era considerata come una bestia al pari della mucca e dell'asino. Non aveva nessun valore.
Maria è una donna. In ebraico marito (ba'al) vuol dire "proprietario" e moglie (be'hulah) vuol dire "posseduta". La donna era strumento per il sesso e per assicurarsi una discendenza. Nient'altro.
Maria è una donna della Galilea. E quelli della Galilea erano ritenuti da quelli di Gerusalemme (Giudei), i "bastardi", gli eretici, gente "senza Dio", da eliminare, da cui tenersi alla larga perché potevano contaminarti.
Maria è un'eretica. Dio non può nascere e nessuna donna sana di mente, può generare il Figlio di Dio. Se Maria fosse stata una pia e devota ragazza, avrebbe rifiutato la proposta dell'angelo Gabriele (1,26-38), perché quello che le stava succedendo era eretico e fuori da ogni logica per la legge ebraica.

Maria, e così Elisabetta, sono discepole di Dio perché si lasciano sconvolgere. Permettono all'in-credibile di farsi credibile: "Ma chi l'avrebbe detto! Una cosa da non crederci (eppure vera"). "Ma proprio a me?": "Sì, proprio a te!".
Dio ha progetti grandi per tutti noi. Dio non ci ha creati per piccoli orizzonti. Siamo noi che limitiamo Dio e la sua potenza: "Non è per me! Io mi accontento! Non sono fatto per queste cose! Questo no, è troppo!".
La nostra vita è piatta e monotona perché resistiamo, ostacoliamo Lui: "Fidati; lasciati portare; ne vale la pena; andrai lontano, se ti farai portare; lascia che la corrente ti porti dove deve portarti; lasciaGli fare!".

Perché Zaccaria non crede mentre Elisabetta e Maria sì?
Quando Dio gli fa la proposta incredibile ("tua moglie ti darà un figlio" 1,13) Zaccaria rimane nell'ordine della logica e della razionalità: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni" 1,18. E quando Dio gli dice: "Zaccaria avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita" (1,14), Zaccaria non si lascia contagiare dalla gioia.
Zaccaria non sa vibrare. Zaccaria non ha il cuore vivo.
"Zaccaria, finalmente ti accadrà ciò che da sempre hai aspettato!". Ma Zaccaria non dice: "Che figata, che contento che sono!; facciamo festa!; lo vado a dire a tutti!; sono felice da toccare il cielo con un dito!". Zaccaria non canta, Zaccaria non compone nessuna poesia (lo farà più tardi 1,67-79), Zaccaria non lascia che l'annuncio gli tocchi il cuore, l'anima; non si lascia riempire.
Zaccaria reagisce in maniera razionale, fredda e fa emergere la sua paura: "Com'è possibile? Sono vecchio! E se mi inganno? E se non sei l'Angelo del Signore? E cosa accadrà poi?".
Dopo l'annuncio, invece, Maria ed Elisabetta (il vangelo di oggi) cantano il Magnificat (il Magnificat può essere stato detto sia da Maria che da Elisabetta; anzi più probabile da quest'ultima), si benedicono, si fanno festa, si ringraziano, si lasciano contagiare, entusiasmare e gioiscono della grandezza di Dio.
La vita è difficile e dolorosa. Ma la vita è anche tremendamente bella e piena di felicità, bisogna viverla, bisogna lasciarla entrare dentro. Per essere felici bisogna avere cuore, bisogna lasciare che il cuore si emozioni, si riempia, vibri, canti, dia sfogo e liberi tutta la gioia che c'è.
Quando fai un passo, riconoscilo e sii felice. Quanto senti l'amore per tua moglie/marito, comunicaglielo! Quando ti senti commosso, libera il pianto. Quando percepisci un sentimento dentro, lascialo vivere. Quando hai raggiunto un traguardo, sii felice.
Una donna è rimasta incinta: "Oddio! Ce la farò? Oddio, e se non sarò una brava madre?". Non dar voce alla paura, libera la tua felicità.
Ti sei diplomato o hai avuto una promozione al lavoro: non sentirti più degli altri (emozione narcisistica dell'io che si sente di valere solo perché è più degli altri, superiore), ma sii felice e gusta il tuo lavoro e la tua fatica che adesso hanno raggiunto il loro traguardo.
Hai avuto un riconoscimento da parte di una persona che ti ha detto quanto ti vuole bene o quanto sei importante per lei: lascia scorrere la felicità e abbeverati ad essa.
A volte le persone si rovinano da sole: "Lo ha detto tanto per dire! Chissà a quante persone dice così! Non me lo merito poi così tanto!". E allora... sii triste!

Quando Maria entra nella casa di Zaccaria, fa come se Zaccaria non esistesse. La regola (a cui si era tenuti) era quella di salutare prima il padrone di casa. E' un affronto grave! Ma Zaccaria è morto dentro mentre quelle donne sono piene di vita. Zaccaria non può capire, può solo giudicare.
Ed Elisabetta, appena Maria la saluta, la benedice piena di Spirito Santo (1,41-45). Elisabetta è profetessa.
E' chiaro il contrasto con il marito sacerdote Zaccaria: "Tu dovevi essere profeta; tu dovevi credere, invece, non hai niente da dire, niente da esprimere perché sei vuoto dentro".
Elisabetta è vecchia d'età, ma giovane d'animo e per questo può partorire un figlio (il nuovo). Se le persone non ci emozionano è perché dentro non hanno niente da esprimere. Se le persone non lasciano segni nella nostra anima è perché sono vuote. Perché se hai Dio dentro, ti infiamma.

Maria ed Elisabetta si capiscono e si comprendono e per questo si possono parlare. Ognuna sa della gioia immensa dell'altra e delle paure della situazione. Elisabetta è avanti negli anni ed è incinta; Maria lo è senz'essere sposata. L'una capisce l'altra. Questo le fa sentire vicine; questo le fa "parenti" non tanto all'anagrafe, ma nel cuore.
Parentela vera non è il legame di sangue, ma il potersi aprire all'altro. Fratelli e sorelle non sono quelli nati dagli stessi genitori, ma quelli con i quali ci possiamo confidare, sui quali possiamo contare; quelli che non ci giudicano, quelli con cui possiamo metterci a nudo e mostrarci per quello che siamo con tutto il nostro carico di paure, d'emozioni sane, contorte e perverse, con tutta la nostra umanità e i nostri sogni possibili e impossibili.
La solitudine non è questione di persone; è questione di apertura. Sono solo perché non mi apro con nessuno. Sono solo perché non mi mostro mai veramente con qualcuno, perché non mi rendo mai vulnerabile, perché nessuno può entrare nelle stanze più buie e scure della mia anima. Sono solo perché mostro sempre una facciata, sono solo perché non mi faccio vedere neppure a me stesso. Mi sento non amato, non perché non ci sia l'amore ma perché io non lascio entrare nessuno dentro.
Maria ed Elisabetta si raccontano e si mostrano intimamente. Ciascuna ha il suo carico di difficoltà e, tornate a casa, ognuna dovrà affrontarle. Ma l'una avrà la presenza dell'altra, e non saranno più sole.

Quando ci incontriamo, parliamo della giornata e delle cose successe. Ma ciò che conta è che vibriamo dentro. Ciò che conta è che io possa mostrarti il mio fuoco e che tu lo possa sentire così io mi sentirò compreso. Ciò che conta è che io mi senta libero di farmi vedere nudo davanti a te, così accetterò me e non avrò più paura delle mie nudità. Ciò che conta è che tu ci sia, che tu mi senta: non devi risolvere tu i miei problemi (sono miei e non tuoi), ma se mi ascolti allora non sarò più solo. Se tu entri con delicatezza io ti farò entrare in me e mi fiderò di te, e mi sentirò abitato da te. Allora tu sarai in me ed io in te. Allora saremo "parenti" di cuore per sempre e nulla ci potrà veramente separare.


Pensiero della Settimana
La vera grandezza non è nella forza ma nel cuore.