Omelia (23-05-2004)
don Mario Campisi
Un commiato esaltante. Il tempo della Chiesa

La liturgia odierna celebra uno dei misteri del Signore. Gli insegnamenti delle letture bibliche ribadiscono che l'intronizzazione celeste del Risorto costituisce il fondamento della speranza cristiana, la quale mette i credenti al riparo dalla paura e dalla sfiducia.
La solennità dell'Ascensione di Cristo al cielo presenta l'idea di un commiato e intorno ad esso vengono anche espresse una certa sofferenza e una certa paura dei discepoli. La "fede difficile", prima della Pentecoste, li teneva purtroppo ancorati all'umano della loro memoria di una presenza visibile di Cristo. Dopo la Pentecoste non sarà più così, e così non può essere per noi che abbiamo ricevuto il dono dello Spirito. Per esso il Padre ci ha donato, nella Chiesa, "uno spirito di sapienza e di rivelazione" (Ef 1,17-18) per capire che nell'ascensione si tratta di un commiato esaltante. Infatti vi è la conferma della divinità del Cristo, della sua morte vittoriosa e della sua risurrezione, sicché si può pensare che la potenza di Dio si è pienamente manifestata, che ci ha dato tutto quello che ha promesso e che Cristo è il Pantocrator.
Se, allora, dobbiamo essere veri discepoli di Cristo, attuando la sua parola, e testimoni del Vangelo nella missione, questo si regge sulla "speranza certa" che esce dalla potenza di Dio manifesta negli ultimi avvenimenti della vita terrena di Gesù. L'Ascensione richiama la speranza. la speranza è virtù teologale infusaci nel battesimo.
Ho l'impressione che, nella formazione cristiana, la speranza teologale non sia insistita come la fede e la carità. Perché tanti cristiani tremano? Perché tanti abbattimenti, tente sfiducie, nelle nostre comunità? Perché non abbiamo ancora comoreso a quale speranza siamo stati chiamati.
L'Ascensione ci rimette ancora davanti al senso ultimo della nostra vita. Senza afferrare quato senso, sono vane la fede e la predicazione della fede e, "se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini" (1Cor 15,19).
In un'inchiesta fatta tempo addietro fra i cristiani d'Italia sul "Credo" era fra le più basse la percentuale di coloro che affermavano chiaramente di credere alla vita eterna. Un assurdo per la fede cattolica, perché la dimensione della vita di un credente o ingloba, come compimento, l'escatologia o è fallimentare.
Si rivela, allora, la necessità di riproporre il senso pieno dell'esperienza cristiana, d'insistere nella predicazione e nella catechesi sul destino ultimo della nostra vita, di "demondizzare" un certo cristianesimo aaffinché si viva la speranza totale a cui siamo stati chiamati. In definitiva il credente si misura da quel che pensa della morte, da come la considera ultima assimilazione a Cristo per ottenere la vita eterna.
Perché diventi amabile e desiderato il fine ultimo della nostra vita, abbiamo già qui, sulla terra, in certo modo, un "cielo" con noi: Gesù. Le immagini "spaziali" di cui si serve la Scrittura per descrivere il mistero della glorificazione di Cristo (1^ e 2^ lettura), debbono cedere il posto a qualcosa di più interiore, di più spirituale e vivo, da gustarsi già in questo mondo. Il nostro cielo, già ora, è Qualcuno, è Gesù. Il cristiano non è "una funzione", è, per grazia, "una dimora" e tutto il segreto della gioia cristiana è essere legati a Cristo "come il tralcio alla vite".
In questo modo si possono sfatare le strambe dichiarazioni sul paradiso-alienazione o narcotico. Esso sarà il compimento e la giusta ricompensa di un'esistenza che impara ad espandersi nell'impegno per l'uomo, nella giustizia e nell'amore che promuove.
L'Ascensione di Cristo al cielo inaugura il tempo della Chiesa. Un tempo la cui chiusura è nel mistero della volontà del Padre e nel quale, con "la forza dello Spirito Santo", dobbiamo essere testimoni di Cristo "fino agli estremi confini della terra" (1^ lettura, v. 8).
E' sempre più necessario conoscere e considerare la Chiesa nel suo mistero divino-umano per amarla senza stanchezza o delusione. Ad essa Cristo ha affidato il prosieguo della sua missione visibile e misteriosa. Il suo tempo è indispensabile per raggiungere in Cristo la fine dei tempi. Siamo dunque tanto responsabili cme Chiesa! Siamo inesorabilmente chiamati a viverla secondo Cristo e a dilatare i beni messianici che egli le ha lasciato.
L'Ascensione ci riconcentra sul nostro ministero di salvezza, senza inquietudine né paura, perché se la nostra miseria di uomini suggerisce questo stato d'animo, Cristo nell'ascendere al cielo ci ha garantito "la forza dello Spirito Santo" (1^ lettura, v. 8).
Una riflessione fondamentale per le nostre comunità ecclesiali che non possono mai uscire dalla dimensione di fede e di vita che l'Ascensione di Gesù al cielo ci ha suggerito.