Omelia (23-08-2013) |
Riccardo Ripoli |
Amerai il prossimo tuo come te stesso Mi ha colpito una frase di Richter "Donare a chi ci ama è gioia, ma donare a chi ci odia è amore", e quale dono c'è più grande se non quello di donare sé stessi per il prossimo? Spesso sento dire "non sono portato per fare il missionario, per prendere un bambino in affido, per fare volontariato, per accudire un anziano, per andare in ospedale a trovare un malato". Posso capire che una persona si possa sentire più motivata verso una certa categoria di persone piuttosto che verso un'altra, ma purtroppo in molti con il dire "non sono portato" si creano una scusa per non fare. Quanti bambini sono venuti in estate da noi, la maggior parte non sapeva nuotare e quando provavo ad insegnare loro si mettevano a piangere o dicevano "non sono portato per il nuoto". E' bastato insistere un poco, magari con il gioco, oppure suscitando in loro il naturale spirito si competizione, per vederli, entro poco tempo, restare a galla nell'acqua alta e persino, in certi casi, andare sott'acqua e chiedere di fare il sub. Non siamo portati è una frase che non dovrebbe esistere nel nostro vocabolario perché per nostra stessa natura siamo in grado di fare tutto. Non siamo ipocriti e diciamoci piuttosto la verità "questa cosa non mi piace" oppure "non mi importa e non la voglio fare", sarebbe almeno un vagito di onestà. Quante coppie potrebbero prendere un bambino in affido perché ne hanno buone competenze genitoriali, una buona famiglia, dei figli ai quali insegnare l'accoglienza, una casa, un reddito, eppure "non si sentono portati"verso l'affido, non se la sentono di avere un bambino in casa che faccia parte di un'altra famiglia, non sono in grado di gestire il lutto dovuto ad un rientro nella famiglia naturale, non sono pronti a interagire con i servizi sociali o con i genitori del bambino. Non sono portati, o piuttosto non vogliono prendersi la briga di dover affrontare certe situazioni, di complicarsi la vita, di affrontare qualche problema ed un po' di sofferenza, come poi se l'affido si riducesse solo a questo, come se non ci fosse l'amore dei ragazzi, la soddisfazioni di vederli crescere e sperare per loro in un futuro migliore da quello che avevano davanti prima di conoscere noi, la gioia di dare un esempio forte e concreto a quelle coppie che ancora tentennano. La verità è che in molti pensano a sé stessi, pensano a difendere la propria tranquillità. Pensate al Davide di Michelangelo o a qualsiasi altra bellissima scultura che da secoli delizia i nostri occhi e fa palpitare il cuore di molti, pensate se Michelangelo avesse guardato quel pezzo di marmo e avesse detto "troppo lavoro, chi me lo fa fare, lasciamo le cose come stanno", quel marmo ora sarebbe uno dei tanti pezzi, magari ancora attaccato alla montagna originaria, oppure ridotto in polvere, pensate come l'amore di Michelangelo l'abbia trasformato. Ecco, ognuno di noi è chiamato a prendere martello e scalpello, armarsi di pazienza e amore e lavorare sulla pietra grezza trasformandola in un'opera d'arte. E se non tutti possono essere bravi scultori, almeno siano bravi pittori capaci di creare un bel quadro, falegnami intenti a produrre bellissime strutture, idraulici in grado di creare giochi d'acqua nelle fontane, elettricisti apprezzati per il susseguirsi di luci colorate predisposte per una grande festa. Non tutti possiamo scolpire un bambino, ma ognuno può fare con la propria arte un capolavoro e accudire un anziano, far visita ad un carcerato, dare da man giare ad un povero, basta volerlo. Il problema è che siamo spesso troppo infingardi per rimboccarci le maniche e iniziare a far uscire dai nostri cuori la nostra arte, peccato perché ognuno di noi potrebbe fare molto e lasciare al mondo opere assai più belle del Davide di Michelangelo, più belle perché andrebbero a scolpire i cuori di tanti per farli diventare persone in grado a loro volta di amare |