Omelia (23-05-2004) |
padre Ermes Ronchi |
L’ultima parola: una benedizione Il distacco di Gesù dai suoi è raccontato da Luca con una sobrietà incantevole. «Gesù condusse i suoi fuori verso Betania»: è colui che precede come pastore, che indica la via, che avanza sicuro anche quando la meta è il Calvario. Quante volte i discepoli hanno camminato dietro a Lui, sulle strade di Palestina. E ora il viaggio riparte, ogni terra straniera è patria, Egli precede i suoi su tutte le strade. Poi all'immagine del pastore si sovrappone un'altra: «e, alzate le mani, li benediceva». L'ultima immagine che abita gli occhi di chi lo ha visto per tre anni, e non lo vedrà più, è una benedizione. «E, mentre li benediceva, fu portato verso il cielo». Quella benedizione è il suo testamento ultimo, raggiunge ciascuno di noi, non è più terminata. Rimane tra cielo e terra, si stende come una nube sulla storia intera, è tracciata sul nostro male di vivere, discende sulle malattie e sulle delusioni, sull'uomo caduto e sulla vittima, ad assicurare che la vita è più forte delle sue ferite. L'ultimo messaggio di Gesù per ogni discepolo è questo: tu sei benedetto; c'è del bene in te; c'è molto bene in ogni uomo; questo devi annunciare. La prima profezia di Elisabetta (benedetta tu fra le donne) diventa l'ultima parola di Gesù: benedetto sei tu fra le mie creature, che sono tutte benedette. Ed è da questa benedizione, che apre e chiude il vangelo, che scaturisce quella riserva di gioia che fa nascere il canto del Magnificat, che fa ritornare gli apostoli a Gerusalemme «con grande gioia». Una benedizione ha lasciato il Signore, non un giudizio; non una condanna o un lamento o una ingiunzione, ma una parola bella sul mondo, una parola di stima, quasi di gratitudine. Perché si benedice chi ci ha fatto del bene; e io quale bene ho fatto a Dio? Nessuno. Eppure Dio mi benedice. Non ne sono degno, ma mi prendo lo stesso questa parola di fiducia, mi tengo stretto questo atto di enorme speranza in me, in noi che stiamo ancora e solo imparando. Tre sono le cose da imparare e da testimoniare: la legge della croce, come il modo più alto, più vero, più bello di interpretare la vita; il convertirsi a questo; il perdono sempre offerto come possibilità di ripartenza a portata di mano, per tutti, sempre. «Di questo voi siete testimoni». Nella sua ascensione, Gesù non è salito verso l'alto, è andato oltre, verso le cose a venire. Non al di là delle nubi, ma al di là delle forme. Siede alla destra di ciascuno di noi, è nel profondo del creato, nel rigore della pietra, nella musica delle costellazioni, nella luce dell'alba, nell'abbraccio degli amanti, in ogni rinuncia per un più grande amore (G. Vannucci). È andato avanti, ci precede verso quella parte di cielo che compone e dissoda la terra. |