Omelia (05-10-2013) |
Riccardo Ripoli |
Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore Le immagini di chi è perito in mare in cerca di un po' di serenità scorrono ancora davanti ai miei occhi. Nel messaggio scritto ieri ed in altri letti su internet il dolore di vedere chi sia razzista al punto da respingere chi abbia un problema, chi cerchi un po' di pace per la sua vita, un futuro migliore. Più stringiamo il cerchio, più escludiamo gli altri. Così ci si può sentire italiani ed essere razzisti verso chi non abbia la nostra stessa nazionalità, ci si può sentire lombardi e considerare terroni tutti quelli al di sotto del Po, sentirsi ariani ed escludere dalla nostra vita chi non sia "puro, sentirsi di buona famiglia ed osteggiare i nuclei familiari con problemi o, come spesso mi è accaduto di vedere, mettere alla berlina quei bimbi che sono in affidamento. Quanti ragazzi che abbiamo accolto hanno subito la derisione e l'esclusione da parte dei loro compagni. Che conforto sentire ieri Papa Francesco parlare di accoglienza, dire guardando i sofferenti "Il dolore ha bisogno di essere ascoltato, ascoltare le piaghe del mondo, andare incontro alle sofferenze dei più bisognosi, dei più umili, dei più indifesi". Se ieri aleggiava in me il senso di vergogna di appartenere alla razza umana, quella stessa razza che lascia che dei suoi figli affoghino, che li lascia morire di fame e di stenti, che non impedisce il proliferare di guerre, oggi la speranza torna a far capolino tra le nubi. Il razzista urla la sua rabbia? Lasciamolo dire e preghiamo per lui, ma parimenti non smettiamo di dire la nostra, non tappiamoci la bocca per paura di essere derisi o allontanati, sottolineiamo le parole di coloro che accolgono ed ignoriamo quelle di coloro che respingono |