Omelia (01-11-2013) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di Padre Gianmarco Paris A volte penso che la vita cristiana non sia molto di più che imparare a vivere la quotidianità dei nostri giorni con il desiderio di ascoltare il Vangelo, di fare della parola di Gesù una presenza amica, un riferimento sicuro. La liturgia, che ci invita e ci aiuta ad incontrarci con Gesù e la sua Parola, diventa così un aiuto, e con ragione il Concilio Vaticano II la considera fonte e culmine di tutta la vita cristiana. In essa infatti ci viene offerta la Parola di Dio che ci permette di modellare, giorno dopo giorno, la nostra vita concreta con il modello di Gesù, fino all'incontro finale. Lungo l'anno liturgico la memoria settimanale della Pasqua di Gesù è arricchita dal ricordo della testimonianza di quei cristiani vissuti prima di noi (per la maggioranza in epoche e contesti molto diversi dal nostro) e che chiamiamo "santi", perché riconosciamo che si sono pienamente conformati al modo di vivere di Gesù, che a sua volta ci ha fatto conoscere con la sua vita e il suo insegnamento il volto di Dio Padre. La parola "santo" infatti è un attributo che la Bibbia in primo luogo usa per indicare Dio: significa di per sé "separato", nel senso di "diverso", cioè diverso dall'uomo, non perché lontano ma perché l'uomo è creato da Dio come vertice di tutta la creazione, e Dio è il creatore. Se però Dio ha creato l'uomo, non lo ha fatto per restare lontano, ma per fare alleanza con lui. L'amore che spinge Dio a inventare la creazione è lo stesso che lo porta a offrire la sua alleanza all'uomo, che non è altro che un patto d'amore. Fare un'alleanza di amore chi sa di essere diverso dall'altro ma non vuole rimanere lontano e indifferente, anzi sente un grande desiderio che l'altro stia unito a lui, fino al punto da assomigliargli. Per questo dopo aver liberato dalla schiavitù d'Egitto il suo popolo, Dio gli chiede: siate santi, come io, il Signore vostro Dio, sono Santo. Questa alleanza si compie nel momento più alto della storia di Dio con l'umanità, che è la vita di Gesù. Anch'egli dice ai suoi discepoli: venite a me... imparate da me che sono mite e umile di cuore... Non chiede solo di imitare dei sentimenti, ma di abbeverarsi alla stessa fonte por poi vivere nel suo stesso modo. È questo che hanno fatto i cristiani santi, cioè i cristiani completi. Nel nuovo testamento spesso la parola "santo" è usata per chiamare i cristiani, perché il dono della salvezza li ha resi di fatto giusti e capaci di vivere come Gesù: tuttavia, come ogni dono, non si impone, ma si offre a ciascuno perché lo renda vero per la sua vita, e qui comincia la risposta di ciascuno, che è libera e anche soggetta alle tensioni della nostra umanità vecchia che resiste alla trasformazione. I santi ci aiutano in questo cammino, perché ci ricordano che non esistono condizioni privilegiate per rispondere al Signore, che ciascuno può rispondere dove è e come è (in genere nessun santo ha avuto condizioni facile di vita). E ci aiutano a capire la Parola di Dio, perché ce la spiegano non con parole ma con gesti, con scelte concrete, ci fanno vedere dove porta l'obbedienza a Dio. Siccome i santi sono molti, non solo quelli che la Chiesa riconosce ufficialmente, ma anche quelli che Dio accoglie presso di sé senza che noi lo sappiamo, è una buona idea quella della liturgia di celebrare una festa di tutti i santi. Possiamo ricordare quelle persone che ci hanno insegnato con la vita come si fa ad amare Dio... possiamo chiedere loro aiuto, perché crediamo che possono intercedere per noi presso Dio. Le letture di questa festa ci fanno fare un percorso semplice e allo stesso tempo solenne tra terra e il cielo. Le ripercorriamo dall'ultima alla prima. Gesù proclamando le beatitudini, che sono la sintesi del suo Vangelo, ci ricorda che Dio si fa vicino, offre il suo amore, il suo Regno a tutti, e lo fa a partire da quelle persone che noi a volte non valorizziamo: i poveri in spirito, cioè quelli che (come Gesù) hanno un cuore mite e umile, coloro che soffrono, coloro che amano senza interessi ma per misericordia, coloro che lottano per la giustizia e per la pace affrontando anche la persecuzione, coloro che per restare fedeli a Gesù passano per difficoltà. Ecco, a costoro Dio si fa conoscere, fa percepire il suo aiuto: per questo lui li chiama "beati", cioè felici, cioè persone che sono nel giusto cammino dell'uomo che risponde al suo creatore, anche se agli occhi umani appaiono come degli infelici. Gesù è il primo di questi "felici", i santi lo seguono in questo cammino. E se vogliamo entrare nel Regno, siamo chiamati anche noi su questo cammino. Giovanni per esprimere la stessa esperienza usa il linguaggio della famiglia: noi siamo figli di Dio, già da ora e in pienezza, perché Gesù il Figlio ce lo ha rivelato e ci ha aperto la sua casa. E siamo ancora in cammino: per noi sulla terra essere figlio significa una serie di cose, ma non sappiamo cosa sarà di noi quando Gesù ritornerà nella pienezza del suo amore. Noi continuiamo il cammino, come i pellegrini che andavano al Tempio di Gerusalemme cantando il salmo 23: chi salirà il monte del Signore? Chi ha mani innocenti e cuore puro... Nell'attesa della manifestazione definitiva, l'apostolo Giovanni può "sognare", come fa nell'apocalisse, quello che avverrà nell'incontro finale. Nella visione egli scorge una "moltitudine immensa", composta di ogni popolo e lingua che canta le lodi dell'agnello, che è il Cristo crocifisso e risorto. Essi hanno vesti candide e palme nelle mani: hanno lavato le vesti nel sangue dell'agnello, cioè hanno conformato la loro vita a quella di Gesù, sono passati nel suo stesso cammino di morte e risurrezione, e portano la palma della vittoria (che nell'antichità era come per noi oggi la medaglia). Con la fiducia che ci infonde la speranza di essere sempre più figli e di ricevere la palma della vittoria, camminiamo dietro a Gesù, imitando i suoi atteggiamenti e comportamenti, perché chi si sente amato non desidera nulla di più che corrispondere all'amore che riceve. |