Omelia (01-11-2013) |
Monastero Domenicano Matris Domini |
Commento su Matteo 5,1-12 Collocazione del brano In questa solennità in cui si ricordano tutti i Santi che già gioiscono in paradiso insieme al Signore, la Chiesa ci invita a riflettere insieme sulle beatitudini. Dopo aver sostenuto la tentazione nel deserto e aver incominciato la sua predicazione, Gesù sale sul monte e comunica al suo popolo la sua Torah (la Legge, o meglio l'insegnamento). Il parallelismo con l'esperienza di Mosè è evidente. Però Gesù non è venuto ad abolire la legge mosaica, bensì a darle compimento. Egli reinterpreta la Torah con autorità, radicalizzandone le esigenze. Inoltre riconduce tutti i precetti a un unico principio, ricapitolandoli nel comandamento guida dell'amore del prossimo. La prima parte del discorso (5,1-12) è dedicata alle beatitudini. Beato traduce l'aggettivo makarios, che a sua volta traduce il sostantivo ebraico ashrè che si può tradurre con "prosperità!" o "felicità!". Questo termine fa parte della letteratura sapienziale (libri dei Proverbi e dei Salmi). La prosperità e la felicità sono un dono di Dio, ma richiedono delle particolari azioni da parte dell'uomo (ad es. Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi... Sal 1). Matteo con le sue beatitudini si colloca in questa prospettiva indicando le qualità umane che sono adatte ad accogliere la beatitudine. Questo brano delle beatitudini ci viene proposto oggi perché i Santi sono coloro che più di altri sono riusciti a incarnare le beatitudini nella loro esistenza e hanno mostrato come questo sia possibile. Lectio 1 Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Questo versetto introduce il discorso delle beatitudini riallacciandosi al brano precedente in cui si parla delle folle che accorrevano a Gesù da tutte le regioni circostanti la Galilea. Rappresentano tutto Israele (4,25). I discepoli ovviamente sono la prima cerchia degli ascoltatori, quelli più privilegiati, ma anche quelli che più sono invitati a seguire il suo insegnamento. Il monte è un luogo carico di significato. Per molti popoli antichi le montagne e le colline erano il luogo dove abitavano gli dei e quindi erano luoghi sacri. Nel libro dell'Esodo la Torah era stata data a Mosè sul monte Sinai. In Matteo gli avvenimenti importanti della vita di Gesù si svolgono sui monti: le tentazioni (4,8-10), la moltiplicazione dei pani (15,29-39), la trasfigurazione (17,1-9), l'arresto (26,30-35), il mandato finale affidato agli apostoli (28,16). Gesù si mette a sedere, è questo l'atteggiamento del maestro che incomincia ad insegnare. Matteo ha la preoccupazione di presentarlo in veste di maestro, secondo l'uso del popolo di Israele, da cui provenivano i cristiani della sua comunità anche per stabilire un legame tra Gesù e la tradizione dell'Antico Testamento. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: Letteralmente il testo greco dice Gesù aprì la bocca: è un'espressione semitica usata quando qualcuno sta per iniziare un discorso pubblico o una dichiarazione solenne. Matteo utilizza il verbo insegnare (didasko) solo in questo discorso (5,2 e 7,29): si tratta quindi di un pronunciamento di rilievo, in cui Gesù presenta sinteticamente la sua visione della vita e dell'obbedienza a Dio. Ricordiamo che il testo delle beatitudini è rivolto a tutti, non solo per i suoi discepoli, o per i più bravi tra essi, ma per tutti i credenti. Il riferimento alla comunità cristiana di Matteo è evidente, ma è ovvio che le beatitudini sono significative anche per noi oggi. 3 "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. L'espressione poveri in ebraico è molto simile a quella di umile e mite. Non ci tragga in errore l'aggiunta di Matteo "in spirito". I poveri in spirito sono realmente dei poveri e non lo sono solo interiormente. L'aggiunta "in spirito" serve a sottolineare che la povertà non è una situazione soltanto sociologica, ma anche spirituale e religiosa. Matteo vuole dirci che non basta la povertà economica per essere beati: occorre anche essere umili, miti, perché solamente a questa condizione si è in grado di accogliere il regno che viene. La povertà è la disposizione interiore di chi pone tutte le sue sicurezze in Dio. Il regno dei cieli: si riferisce al governo e alla sovranità di Dio. Qui predomina il significato escatologico (cioè proiettato al futuro, al ritorno di Cristo nella gloria), anche se non è esclusa una ricompensa al presente. 4 Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Il termine greco indica specificatamente coloro che sono in lutto. Anche Is 61,1-3 accanto a "evangelizzare i poveri" ricordava il "consolare gli afflitti". Ancora si trova un riferimento al pianto/gioia in Matteo 9,15 dove si parla del digiuno dei discepoli di Giovanni Battista. Nella comunità di Matteo gli afflitti sono coloro che digiunano perché è stato loro tolto lo sposo: fanno penitenza nell'attesa del ritorno del Messia. 5 Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. La differenza tra i miti e i poveri in ebraico non è molto netta, come abbiamo visto sopra. In greco è più precisa. Questa beatitudine è tratta dal salmo 37,11 "i miti erediteranno la terra e godranno di una grande pace". Gesù stesso nel vangelo di Matteo si definisce mite ed umile di cuore (cfr. 11,29) e, come il Messia predetto dal profeta Zc 9,9 entrerà su una mite cavalcatura in Gerusalemme (cfr. Mt 21,5). Anche Mosé era il più mite della terra (Nm 12,3) e i discepoli di Gesù sono più volte invitati ad avere questo atteggiamento. La terra promessa ai miti allude anzitutto a quella data in dono da Dio a Israele, ma qui è simbolo dei beni messianici. 6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Matteo introduce qui un tema dominante di tutto il discorso della montagna: la ricerca della "giustizia", intesa come piena osservanza della Legge di Dio. A cosa si riferisce la "sazietà"? Ha un senso metaforico, come il "saziarsi della conoscenza di Dio" (Is 53,11). La giustizia è anche un attributo divino che si accompagna sempre alla sua "misericordia". 7 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Il termine misericordioso non esiste nell'AT al plurale, giacché viene utilizzato solo per indicare il Signore. Unica eccezione, il giusto del salmo 112,4 (che è poi riferito al Messia). Coloro che sono misericordiosi partecipano dunque di una prerogativa che era solo di Dio. E' interessante che Matteo citi due volte Os 6,6 ("voglio l'amore e non il sacrificio...") nel suo Vangelo (cfr. 9,13; 12,7) e consideri la misericordia tra gli obblighi più gravi della Legge (cfr. 23,23). Anche qui il riferimento è al giudizio finale. 8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. L'espressione "puri di cuore" è presa direttamente dalle norme di purità richieste per accedere al tempio e godere della visione di Dio (Sal 24,3; 51,12). Il cuore è la sede dell'intelligenza e della volontà. La purezza di cuore equivale perciò alla purezza delle intenzioni; la persona onesta ha un'integrità morale che investe tutto il suo essere interiore e si manifesta nella sua azione. Scelte operative ed intenzioni si corrispondono in una coerenza profonda. Una realtà che i vangeli indicano anche con il termine semplicità. La purezza di cuore è la semplicità che rende trasparente lo sguardo. Il contrario di un cuore puro è il cuore diviso, doppio. La santità è la condizione per vedere Dio (Eb 12,14), ma al tempo stesso la visione di Dio produce in noi la santità e la somiglianza con lui (cf. 1Gv 3,2). 9 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Anche il termine quelli che "fanno la pace", proviene dall'AT (Is 27,5) e viene molto usato nel NT "Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno [opera di] pace (Gc 3,18). Qui la pace è la shalom dell'Antico Testamento, l'insieme di tutti i beni che saranno portati dal Messia. La pace definitiva appartiene solo al regno di Dio, ma i seguaci di Gesù sono invitati a lavorare attivamente per attuarla. Saranno chiamati: anche questo è un ebraismo (vedi 1Gv 3,1). L'adozione a figli, la vocazione ad essere figli è il più grande privilegio di Israele. Figli di Dio sono da sempre gli angeli (cfr. Gn 6,1-4) a cui gli operatori di pace si affiancheranno nel giudizio finale. 10 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Questa beatitudine ha diversi legami con altri passi dell'intero brano. La giustizia è stata già ricordata nella quarta beatitudine (v. 6) e poi verrà ricordata più avanti in Mt 5,20 con l'esortazione ad avere una giustizia più vera di quella dei farisei. Anche la persecuzione ritornerà nel versetto seguente: sarete beati quando vi perseguiteranno per causa mia, cioè di Gesù. Infine il ricordare il regno dei cieli, ricollega questa beatitudine con la prima, chiudendo il cerchio. La comunità di Matteo poteva leggere in questo versetto un riferimento alle difficoltà che incontrava per il modo con cui viveva il giudaismo, ossia secondo le nuove indicazioni date da Gesù Cristo. Con questo versetto si conclude la serie di otto beatitudini, che formano un insieme strutturale e ben delineato, per l'andamento in due stinchi e delimitato dalla ripetizione della frase al singolare: perché di essi è il regno dei cieli. 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Ora Gesù passa dalla terza alla seconda persona plurale. Questa non è una nona beatitudine, ma una specificazione dell'ottava. Ora Gesù si rivolge direttamente ai suoi seguaci, forse si tratta di un incoraggiamento per coloro che davvero ai tempi di Matteo subivano la persecuzione a causa di Gesù. Egli li incoraggia ad andare avanti senza paura, essi sono innocenti: i loro detrattori dicono male di loro ma mentono. Questo sarà per loro un motivo di grande beatitudine perché il Signore è con loro e proprio perché sono perseguitati hanno la certezza di essere nella Sua volontà. E' importante notare la serie di verbi, e relative azioni, indicate dall'evangelista: vi insulteranno, una ferita all'onore personale; vi perseguiteranno, mettendo in pericolo la vita stessa, così come fu per Gesù il Maestro che ha dato la vita per noi (cfr. Gv 15,18-16,4; 2Cor 11,16s); diranno ogni sorta di male contro di voi, ossia la diffamazione, anche qui un riferimento a Gesù (Lc 22,37). 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Qui compare un nuovo elemento: quello della ricompensa. C'è una ricompensa immediata, la gioia di appartenere a Cristo nonostante la persecuzione, e una ricompensa futura, nei cieli. Le beatitudini sono significative anche per il presente, riguardano la vita personale e comunitaria del cristiano, non puntano solo a mettere in luce il peccato e la necessità dell'aiuto della grazia, perché esse indicano alcune cose fattibili per tutti. Abbiamo di fronte un'interpretazione cristiana della Legge di Mosè che Gesù propone ai in primo luogo ai giudei del suo tempo, ma anche a noi e ai credenti di ogni tempo, come una proposta che attende di essere accolta e vissuta, così come hanno fatto i Santi che ricordiamo in questo giorno di festa. Meditatio - Ho mai sperimentato personalmente almeno una di queste beatitudini? - Cos'è per me il regno dei cieli? - Ho mai conosciuto qualcuno che fosse davvero operatore di pace? - Quale significato possono avere per noi oggi le beatitudini che ci ha insegnato Gesù? |