Omelia (25-12-2013)
fr. Massimo Rossi


Buon Natale a tutti!
Come ogni anno, a Natale, viene proclamato il Prologo di Giovanni, l'inizio solenne del quarto Evangelo, un inizio denso di una riflessione teologica ormai secolare: Giovanni scrive infatti intorno alla fine del primo secolo. Come tutte le migliori pagine di teologia, anche questa è elevata, rarefatta, aria pura di alta montagna...
Queste parole potrebbero anche concludere il Vangelo, ne sono una sintesi perfetta: Giovanni, l'apostolo preferito dal Signore - che volete, anche Gesù aveva le sue preferenze, ma, a differenza di noi, non le fece mai valere; non fu infatti Giovanni, ma Pietro a ricevere il mandato di governare la Chiesa di Cristo - Giovanni, dicevo, sceglie di porre questo meraviglioso inno Cristologico come premessa, potremmo dire, quando il sipario è ancora abbassato...
E poi il sipario si alza, non sulla scena della grotta/stalla/capanna... bensì, 30 anni dopo, sul Battista, che professa la sua fede in Gesù, e lo addita presente, Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr. 1,29).
Fin dal primo capitolo del Vangelo, Gesù comincia a parlare; fin dal primo capitolo la chiesa è già all'opera: annunciare la Verità, chiamare, salvare... Gesù incontra i primi discepoli: alcuni accolgono la vocazione con entusiasmo e senza esitare, anzi, si fanno promotori essi stessi di nuove vocazioni; altri invece puntano i piedi, esprimono riserve a proposito della persona di Cristo, come Natanaele - Bartolomeo secondo i Sinottici -: "Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?" (v.46). Fin dal primo capitolo, Gesù ha già deciso che Simone condurrà il gruppo, una volta conclusa la sua missione sulla terra; anche se Simone è tutt'altro che fedele e docile, al contrario, ha la testa dura, dura come una pietra; difatti Gesù gli cambia immediatamente il nome in Cefa', che significa pietra, non solo perché (Pietro) è la pietra angolare, base solida sulla quale edificare la Chiesa (cfr. Mt 16,18), ma anche perché Simone-detto-Cefa farà sempre resistenza al progetto di Dio rivelato in Gesù - "Lungi da me, Satana!..." (cfr. Mt 16,23) -, non è neppure del tutto disinteressato - "Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa avremo in cambio?" (cfr. Mt 19,27); tantomeno Pietro è pronto a seguire il Signore risorto - "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene." (cfr. Gv 21,15) -. Eppure, fin dal primo capitolo, Gesù lo guarda come se tutto fosse già superato - le crisi ricorrenti, le proverbiali intemperanze, il rinnegamento, la passione -; non solo perché il Vangelo viene scritto quando, appunto, tutto è già avvenuto... Gesù, fin dall'avvio della sua vita pubblica, contempla la realtà, fatti e persone, con gli occhi di Dio, sub specie æternitatis.
È la logica della Parola di Dio, è la logica della Rivelazione: non c'è un ‘prima' e un ‘dopo'; per Dio tutto è contemporaneo, tutto è simultaneo, tutto è un eterno presente. Per questo possiamo cantare: "O Dio, oggi il tuo Figlio ha voluto assumere la nostra natura umana", anche se per noi, il mistero dell'incarnazione è (storicamente) avvenuto più di venti secoli fa.
Lo stesso si può dire di noi, della nostra relazione con Dio: ciò che faremo, addirittura, ciò che ancora non sappiamo di noi, Dio lo conosce già; per Lui la storia degli uomini è già compiuta, è già completa; usando termini difficili - tanto per darmi un tono... - Dio ha una visuale sin-cronica e non dia-cronica della realtà.
Lo so che questo discorso ci mette in crisi, toccando aspetti delicati della fede, come il rapporto tra la nostra libertà e la volontà di Dio, e perché questa Volontà di Dio, conoscendo il nostro futuro, non intervenga a impedire il male... Tranquilli, non ne parlerò, almeno oggi che è Natale, dobbiamo essere tutti più buoni e più felici.
La tenerezza che sempre suscita ogni bambino che viene al mondo, è forse il sentimento più adeguato di altri a vivere in pienezza questa giornata: una sorta di tregua emotiva dai tormenti, dallo stress, dal senso di precarietà che si avverte in tutte le famiglie, anche nelle comunità, e che assume talora toni a dir poco drammatici.
Non permettiamo che anche nella nostra vita la solennità del Natale ‘funzioni' perversamente suscitando tristezza, piuttosto che gioia! "C'è ben poco da festeggiare!", obbietta qualcuno...
È vero, non ci sono molti motivi umani per festeggiare... Proviamo allora a interrogare la fede: in giorni come questo, la fede può veramente fare la differenza!
Avrete certo pensato ai regali... è più di un mese che la città ha indossato i colori, le luci, i profumi...e i prezzi del Natale. Abbiamo quasi la nausea... Tuttavia, tra questi colori, tra queste luci e questi profumi, mancano il colore, la luce e il profumo della preghiera.
Avete mai pensato di regalarvi una preghiera? non costa niente... e ha una valore altissimo!
Quest'oggi, prima di sederci a tavola per il pranzo di Natale, insieme con gli auguri, pronunciamo una breve preghiera al nostro Dio-fatto-bambino, gli uni per gli altri.
Non sono necessarie molte parole...
Del resto, che cosa potremmo dire a un neonato? un neonato non ha bisogno di parole - ve lo dice un predicatore!... - ma di accoglienza, di calore, di affetto... Facciamo spazio al Signore!
È figlio di Dio. Ed è anche figlio nostro!



"La solitudine e il silenzio
sono spazi per attingere il più alto dei traguardi:
l'umanità allo stato puro.
"
Giovani Pozzi