Omelia (25-12-2013)
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Commento su Luca 2,1-14

COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura delle Monache Clarisse di Roma

Come il popolo d'Israele, così noi, in questo giorno di grazia: siamo "popolo che cammina nelle tenebre" (cf. Is 9,1), oppresso da un giogo. Forse proprio in questo modo ci siamo incamminati verso la Chiesa, nella notte: sulle spalle il peso di un quotidiano "tenebroso", affollato di preoccupazioni, di travagli, quando pesanti quando più lievi, ma sempre capaci di occupare l'orizzonte delle giornate con invadenza. Eppure se ci siamo incamminati verso la chiesa vuol dire che il cuore è ancora abitato da una speranza, quella che abbiamo cercato di ravvivare lungo tutto il tempo di Avvento: la speranza di un evento di grazia, eccezionale, proprio nel senso che possa "eccedere" ciò che umanamente è ipotizzabile. Di fatto, quando le maglie della vita si stringono dentro logiche solo umane, non resta che sperare nel miracolo, nel soprannaturale.
Natale è proprio questo: è il cielo che si china sulla terra, che squarcia le nubi della nostra incredulità e rende possibile l'impossibile. Perché è impossibile che l'Infinito si racchiuda in un corpo d'uomo, che l'Eterno entri dentro le nostre strette categorie temporali, che la Perfezione accetti di misurarsi con il limite, che l'Amore scenda a confrontarsi con il Male... Impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile (cf. Mt 19,26): e il Verbo sceglie di farsi carne (cf. Gv 1,14), per noi uomini e per la nostra salvezza.
A noi adesso incontrarlo. Perché Lui più di così non poteva fare, più in basso di così non poteva scendere: una grotta scavata nella roccia e un po' di paglia, un villaggio sconosciuto della Giudea, una coppia di giovani sposi come tante... meno di così non poteva scegliere. Dunque ci ha spianato davvero la strada, come promesso dai profeti: "...Spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno..." (Is 40,3-5). Dio ha preparato l'Incontro per secoli e secoli, ora non resta che chiederci come fare a non mancare l'appuntamento.
Le letture delle Messe di questo giorno ci danno indicazioni preziose. Innanzi tutto sono costellate di angeli, che ripetono con insistenza un annuncio rassicurante. "Non temere di prendere con te Maria", dice l'angelo apparso in sogno a Giuseppe, perplesso e titubante di fronte alla gravidanza misteriosa di Maria (cf. Mt 1,20-21); "Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia", è la parola consegnata nella notte santa ai pastori, abbagliati da una luce improvvisa (cf. Lc 2,9-12). D'altra parte, "Non temere, la tua preghiera è stata esaudita", è quanto era stato detto anche a Zaccaria dall'angelo all'annunzio della nascita di Giovanni (cf. Lc 1,11-13); e ancora "Non temere, hai trovato grazia presso Dio", era stata la prima parola rivolta dall'angelo a Maria.
Ecco dunque una prima indicazione di percorso per arrivare a Betlemme e vedere il volto del Dio Bambino: NON TEMERE. Perché quando un evento eccezionale tocca la nostra vita siamo soliti essere presi dal timore, dal dubbio, dall'incredulità. Di fatto, Dio spesso viene per vie misteriose, ci sorprende, ci costringe ad un salto di fede. Ancora di più se l'evento ci porta gioia, perché è difficile credere alla gioia: abbiamo dentro una deformazione ontologica, frutto del peccato originale, per cui ci riesce più facile credere al dolore, alla sventura, all'insuccesso, mentre resistiamo a tutto ciò che porta gioia, come se non potesse essere per noi... Il Natale ci chiede invece di provare a fare il salto, perché "la gioia è stata moltiplicata, la letizia aumentata" (cf. Is 9-2). Non dobbiamo aver paura di essere finalmente contenti, di andare verso Betlemme - quindi verso la chiesa... e poi verso la vita! - sapendo che ci è stata regalata "una grande gioia" (Lc 2,10). Dovremmo forse recuperare un po' di quello spirito dell'infanzia - d'altra parte Gesù dice che il suo regno appartiene ai bambini (cf. Lc 18,15) - che ci faceva accostare i regali di Natale impacchettati pieni della gioia della speranza, certi che lì c'era ciò che attendevamo. Così dovremmo camminare verso Betlemme, gioiosi per la certezza che la grotta nasconde il regalo da tempo atteso.
"Ma sarà veramente così?", insinua a questo punto l'animo incredulo che ci abita. Sì, lo sarà, e la Parola ci dona anche un segno... ma quale segno? Qui sta la seconda indicazione preziosa di cammino, nella ATTENZIONE AL SEGNO. Di fatto: "Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia" (Lc 2,12). Il segno è un segno povero, che può rischiare di passare inosservato, misconosciuto, sottovalutato. Il regno di Dio sempre comincia piccolo (cf. Lc 13,18-19), "non viene in modo da attirare l'attenzione"; anzi. è già in mezzo a noi e noi non ce ne accorgiamo(cf. Lc 17,20-21).
Forse allora il dono per eccellenza del Natale sono occhi nuovi, capaci di riconoscere il segno che già è dentro la nostra vita. Potrà non cambiare la situazione, ma può e deve cambiare il nostro modo di leggerla, per riuscire a scorgervi ciò che racchiude in germe, anche se ancora non si vede, proprio come il profeta Isaia vede in un bambino un "Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre.." (Is 1,5).
Dio si incontra a Betlemme se si accetta questa sfida, se lo si sa vedere affondato in un po' di paglia e adorato da chi non conta nulla. Così Dio si incontra nella nostra vita se accettiamo di vederlo vivo e operante dentro quelle situazioni contraddittorie, faticose, aride... in tutto ciò che non ci sembra Lui. Ecco la terza indicazione: DIO SI E' FATTO CARNE, cioè ha raccolto e assunto non solo ciò che è insignificante e povero, ma l'umanità tutta intera, con i suoi limiti, le sue fragilità, le sue brutture. Di qui il grido gioioso di Paolo. "E' apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza... Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità" (Tt2,11.14); ancora: "Egli ci ha salvati... per la sua misericordia, con un'acqua che rigenera e rinnova" (Tt 3,5), è venuto a compiere la "purificazione dei peccati" (Eb 1,3). Si è dunque gettato nella nostra miseria per usarci misericordia.
Stiamo attenti dunque a non sciupare la grazia del Natale pensando che "sarebbe veramente Natale se...", perché è proprio la situazione preceduta dal quel "se" che Dio è venuto a visitare, dentro quella carne ferita e debole è venuto ad abitare. "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria..." (Gv1,14). Forse allora il segreto per incontrarlo, per "contemplare la sua gloria", sta nell'accostare con spirito nuovo quella realtà che più da Lui mi allontana, sapendo che lì dentro adesso c'è Lui, che la carne del Figlio di Dio è la carne segnata dalla debolezza e dalla povertà, la mia come quella del fratello.
Tre passi allora perché il Natale sia veramente Natale: credere alla promessa di gioia; vigilare per riconoscere i segni della gioia; accostare con speranza le realtà più ostili alla gioia. Perché basta poco per soffocare il vagito di un bimbo, ma d'altra parte lui - come ogni bimbo che si rispetti - non cesserà di piangere finché tutti i confini della terra non vedano la sua salvezza (cf. Sal 98,3)!